4 maggio 1949 e 3 dicembre 1906 sono le due date fondamentali della Storia del Toro, ma lo sono anche per il calcio italiano e per la storia del Paese. La prima è quella che vide perire il Grande Torino, la seconda è quella del primo giorno di vita della società granata. Dal lontano 1906 passando per il tragico 1949 arrivando a oggi c’è un filo conduttore che resiste nonostante tutto, compresi la demolizione dello stadio Filadelfia, il fallimento e la pochezza dei risultati degli ultimi decenni. Un filo che non si è mai spezzato e che unisce persone di età ed estrazione sociale diverse. Il Grande Torino non era solo una squadra di calcio, troppo riduttivo, era un simbolo di quell’Italia voleva tornare a essere il paese che nei secoli aveva dato vita all’impero romano, al medioevo, al rinascimento, al risorgimento, all’unità d’Italia e che usciva da una devastante guerra, la seconda guerra mondiale, e dalle lotte che avevano visti contrapposti gli italiani che appartenevano alla resistenza e gli italiani che erano legati al regime fascista.
Quegli italiani, anche chi non era tifoso del Torino, avevano fatto propria la squadra di Mazzola e compagni perché quel Torino in campo esprimeva una grande eleganza nel gesto atletico coniugata a un calcio innovativo, il sistema, e riusciva a interpretarlo perfettamente come testimoniano i cinque scudetti conquistati, ma soprattutto il numero di partite vinte in quei campionati, 121, a fronte di quelle pareggiate, 34, e perse, 17, e i gol realizzati, 440, in rapporto a quelli subiti, 151. Una squadra che è arrivata a fornire alla Nazionale dieci su undici giocatori. Una squadra che aveva la sfrontatezza, data dalla certezza nei propri mezzi, di giocare sottotono quando affrontava avversari meno forti e di attendere il momento opportuno per il quarto d’ora granata, quando nello stadio Filadelfia riecheggiavano i tre squilli di tromba di Bolmida, un tifoso, che davano il là al cambiamento di ritmo che significava la fine delle speranze per gli avversari: il capitano, Valentino Mazzola, si rimboccava le maniche e il Torino s’impossessava della vittoria. Quale esempio poteva essere più calzante e allo stesso tempo gioioso per una nazione che doveva risollevarsi dalla sconfitta della guerra?
Il Grande Torino non appartiene solo ai tifosi del Toro appartiene a tutti quelli che, conoscendo i valori che incarnavano quei giocatori e che cosa rappresentavano per chi all’epoca c’era, vogliono continuare a perpetrarli e ne fanno una massima di vita. La tragica fine della squadra ha trasformato in eroi leggendari quei calciatori che solo il destino è riuscito a fermare impedendogli di continuare a mietere trionfi. Il 4 maggio 1949 l’aereo che riportava a casa il Torino da Lisbona, dove aveva disputato una partita amichevole in onore del capitano del Benfica Francisco Ferreira, si schiantò contro il terrapieno sul quale è edificata la Basilica sul colle di Superga. Ogni anno da allora il 4 maggio è la giornata dedicata alle commemorazioni: la messa alla Basilica di Superga e poi la squadra, con i dirigenti e i tifosi si recano alla lapide, situata nel punto d’impatto dell’aereo con il terrapieno, e il capitano di turno depone una corona di fiori e legge ad alta voce i nomi dei defunti. Giocatori: Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Émile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti, Julius Schubert; dirigenti: Arnaldo Agnisetta, Ippolito Civalleri, Andrea Bonaiuti (organizzatore delle trasferte della squadra granata); allenatori: Egri Erbstein, Leslie Lievesley, Osvaldo Cortina (massaggiatore); giornalisti: Renato Casalbore, Renato Tosatti, Luigi Cavallero; equipaggio: Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Cesare Biancardi, Antonio Pangrazi.
[Elena Rossin – Fonte: www.torinogranata.it]