In quel dicembre si vociferava, neanche troppo silenziosamente, di un suo trasferimento al Real Madrid. Sarebbe suonato un po’ strano, bisogna essere sinceri. Dalla spola tra panchina e campo in Serie B ai vertici del calcio mondiale. Poi la Confederation Cup con la maglia del suo Uruguay, una doppietta, belle prestazioni. Una rigenerazione. Che l’interessamento dei Blancos fosse una farsa o meno, proprio in quell’ultimo scorcio del 1997 il Cagliari finalmente scoprì e poté apprezzare il talento di colui che arrivò due anni prima per sostituire niente meno che Julio Dely Valdes. E la ritrovata vena realizzativa con la maglia del suo Paese gli valse, tornato in Sardegna, la promessa del rinnovo del contratto: un grande regalo, un’enorme iniezione di fiducia. Silva era stata una delle tante scommesse di Paco Casal e, sebbene impiegò più tempo del previsto a dimostrare il suo valore, fu una scommessa vinta.
Arrivato con la nomea di Poeta dell’Olimar e con tanti gol alle spalle con la maglia del Penarol, Dario Debray Silva Pereira da Trenta y Tres, noto più semplicemente come Dario Silva, a una lenta carburazione in campo affiancò un’irresistibile simpatia che conquistò da subito tutti i tifosi. E le sue movenze originali, la sua corsa sbilenca e i suoi incredibili errori spinsero Lapola ad affibbiargli un nuovo soprannome: Sa Pibinca. Al termine della stagione 1997/98 che segnò l’immediato ritorno del Cagliari in Serie A, l’esplosione di Silva era finalmente arrivata: 13 reti in 27 partite. La Spagna – aggiungiamo purtroppo, perché in Serie A con un Silva pienamente maturato ci si sarebbe divertiti – anche se non la Madrid reale, l’avrebbe raggiunta nella stagione successiva, quando l’offerta dell’Espanyol e il litigio tra l’attaccante e Ventura convinsero Cellino a privarsene.
Il Cagliari, conclusa la trattativa con la Reggiana che portò allo scambio a novembre tra Banchelli (mal visto da tecnico e dirigenza nonostante due gol nelle prime due giornate) e Carruezzo, aveva individuato in Dario il partner ideale per Roberto Muzzi, ma i tanti infortuni ne avevano fino a quel momento limitato l’impiego. Di gol, comunque, quando il Cagliari si apprestava ad affrontare per la prima volta nella sua storia il Chievo a Verona, ne aveva già realizzati 5 ed era il miglior marcatore straniero del campionato cadetto. In quei cinque gol, ma, bisogna ammetterlo, anche in quelli clamorosamente sprecati, c’era il riassunto della sua esperienza italiana: se gol dev’essere, che sia spettacolare e indimenticabile, insomma che ci si legga chiaramente la mia firma. E come dimenticare allora quella spettacolare rovesciata contro il Castel di Sangro alla terza giornata? O quella palla mandata, assolutamente per caso, sotto l’incrocio dei pali dopo aver deviato una punizione di Zanoncelli e che valse il 2-2 a Venezia? Dopo la cura in nazionale, però, Silva è determinato a smentire anche i più scettici, sente che il suo momento è arrivato, è carico. Nel match di Verona è lui l’incaricato a guidare l’attacco rossoblù. Muzzi infatti è squalificato e al suo posto sarebbe naturale l’impiego di Carruezzo, ma Ventura opta per un avanzamento di O’Neill.
Il Cagliari, terzo in classifica con 32 punti, ha nel mirino Venezia e Salernitana e, forte degli 8 risultati utili consecutivi (iniziati dopo la figuraccia di Torino), va al Bentegodi convinto di proseguire la striscia positiva. E in effetti la partenza sembra recitare il solito copione: O’Neill apre per Vasari sulla destra, Tanino controlla, accelera, salta un uomo, mette dentro e Silva in sospensione di testa riesce a dare la forza giusta per mandare il pallone sotto la traversa. La semplicità del calcio, un gol da manuale. Peccato però che il manuale preveda anche che le partite durino nel complesso novanta minuti e i tre punti non li porta a casa chi segna per primo. Già, perché dopo il gol il Cagliari decide di sparire dalla scena e il Chievo prende il sopravvento. Il 3-4-3 di Silvio Baldini mette alle corde l’undici di Ventura. Giusti e Melosi prendono il comando a centrocampo e Sanna e De Patre sono costretti a subire la loro iniziativa e vanno presto fuorigiri. Passano solo quattro minuti e il Chievo, infatti, ristabilisce la parità. A segnare è un cagliaritano che la Cagliari calcistica, nella sua carriera, l’ha vista solo da avversario o in tv. Si tratta di Martino Melis e il suo rasoterra dal limite dell’area sorprende Scarpi. I sardi però, prima del letargo, hanno ancora due sussulti e rischiano di ritrovare il vantaggio: prima è ancora Silva a centrare in pieno la traversa con una bella girata, poi è Vasari a impegnare severamente Caniato con un bolide. I rossoblù, constatato che il tepore dello spogliatoio è decisamente preferibile al freddo veronese di gennaio, restano forse con la testa a quei quindici minuti di ristoro dell’intervallo. E il secondo tempo è tutto di marca gialloblù. Cossato e Marazzina impegnano severamente la difesa cagliaritana, Melis giostra agevolmente tra le linee e Melosi è uomo-ovunque in mezzo al campo. Ed è proprio quest’ultimo a castigare il Cagliari al 75’: corta respinta della difesa e siluro scoccato dal centrocampista di Saronno che Scarpi, complice una decisiva deviazione di Zanoncelli, non può che imprimere nella sua memoria in due fotogrammi: vede partire il pallone e meno di un secondo dopo lo rivede alle proprie spalle. C’è ancora tempo per una reazione, il Cagliari ci prova, ma non riesce a cambiare l’inerzia della partita, nonostante vada vicino al pari in due circostanze.
La sconfitta è accolta da una parte con le fisiologiche parole d’allarme lanciate da un allenatore che vuole sempre mantenere alta la concentrazione: “Con le parole non si va in serie A, conta sempre quello che si fa sul campo”, ma dall’altra con un sospiro di sollievo dovuto al fatto che, fatta eccezione per il Perugia, nessuna delle inseguitrici aveva vinto: il Torino, dietro di tre punti, era malamente caduto sotto i colpi di Paci a Lucca. Si chiudeva il girone d’andata e arrivati a metà strada il Cagliari aveva dimostrato di avere tutte le carte in regola per centrare la promozione. Per Silva la tappa di Verona rappresentò l’inizio di un nuovo campionato, in un girone di ritorno che lo vide raggiungere una straripante condizione fisica che permise a lui di andare a segno nelle tre giornate consecutive e al Cagliari una pronta reazione: marcò a Treviso il gol della vittoria, chiuse i giochi contro il Pescara, punì, al Teofilo Patini, ancora una volta il Castel di Sangro. Tre vittorie su tre che portarono il nome di Dario Silva. Il Poeta era finalmente tornato a incantare e ad ammaliare le platee, proprio come aveva fatto in Uruguay. La corsa scoordinata, le imprecisioni, qualche gol di troppo sbagliato, Sa Pibinca insomma, certamente non scomparvero. Ma imparò a disciplinarsi, a trasformare i difetti in armi devastanti. Come? A sentire l’interessato la medicina per il ritorno al gol non era poi così amara da digerire: “Finora gli avversari non sembravano molto preoccupati da uno che faceva tanto casino, ma poi non riusciva a metterla dentro. Ventura mi ha chiesto di sprecare meno energie per mantenere la lucidità al momento del tiro”. Meno generosità e più cinismo. E qualche preoccupazione, le difese, iniziarono ad averla.
TABELLINO (19° giornata 1997/98):
MARCATORI: Silva (Ca) al 17′ p.t., Melis (Ch) al 21′ p.t., autorete di Zanoncelli (Ca) al 30′ s.t.
CHIEVO (3 – 4 – 3): Caniato; Zamboni, D’Angelo, Franchi (dal 32′ p.t. Chiecchi); Zauli, Giusti, Melosi, Guerra; Marazzina (dal 42′ s.t. Cerbone), Cossato, Melis (dal 21′ s.t. Zanchetta). (Gianello, Rinino, Cinetti, Lanna). All. Baldini.
CAGLIARI (3 – 5 – 2): Scarpi; Zanoncelli, Villa, Centurioni; Vasari, Berretta, Sanna, De Patre (dal 14′ s.t. Scugugia), Macellari; Silva (dal 28′ s.t. Carruezzo), O’Neill 6. (Franzone, Cavezzi, Lonstrup, Arricca, Lambertini). All. Ventura.
ARBITRO: Rossi di Ciampino.
Ammoniti: Centurioni per comportamento non regolamentare; Franchi, Macellari e Zanoncelli per gioco scorretto; Melosi e Villa per proteste.
[Matteo Sechi – Fonte: www.tuttocagliari.net]