C’era una volta il Massimino … Io non ci credo che il troppo amore porta a fischi e critiche. Come un datore di lavoro che ti abbassa lo stipendio per troppa stima. Come una moglie che ti tradisce per troppo affetto. Come se la mia banca mi facesse avere il conto in rosso per troppi versamenti. Non ci credo perché altrimenti qualcuno potrebbe fare lo stesso discorso per lo stadio che si svuota. E così la gente non andrebbe più allo stadio perché avrebbe voluto di più, perché vuole le coppe, perché vuole una squadra al vertice. E vuole tutto questo, guai a dubitarne, per il “troppo amore” verso questi colori.
Si dice che la piazza si è abituata alla serie A, e passato un po’ di tempo l’assuefazione è naturale. Dopo due anni in particolare si sa che finisce la passione, è una questione chimica, inutile illudersi, ed è finita la passione anche per il massimo campionato … ah, quindi l’amore era per la serie A? Ma non era per la tua squadra? C’è qualcosa che non quadra.
Potrebbe essere davvero l’eccesso di amore dunque, che esonda manifestandosi sotto le più insospettabili forme? Non è che non si va allo stadio per disaffezione alla squadra insomma, è che non ce la fanno a vederla sempre così, sempre uguale. Il troppo stroppia, anzi no, trasforma. Come se un orso s’imbattesse in un alveare da cui cola spontaneamente il miele. Cosa mai si aspetterà che esca? Uscirà del miele, penserà, è stracolmo, cosa vuoi che venga fuori? E invece no, viene fuori una barretta di pungiglioni. “Ma non sono punture quelle che sente in gola l’orso”, direbbero le api, “è il troppo miele”. Meno male che da queste parti orsi non ce sono, sarebbero di sicuro una specie protetta, il Grezzly dell’Etna.
Per piacere basta con queste apologie del ca…so, perché a volte i numeri dicono più di tante parole. Non è solo essere in fondo a tutte le graduatorie nazionali, o avere l’affluenza paragonabile a quella Chievo, che è giusto un quartiere, e tra l’altro di una città più piccola di Catania. È il confronto con noi stessi che suona impietoso. Il confronto con tutto ciò che si è sempre fatto in ogni categoria e che non si fa più ora che siamo nella massima: la differenza. Il numero di presenze, sia di abbonati che di paganti, rasenta il fondo della classifica. Se il problema fosse solo il costo eccessivo dei biglietti non si avrebbe il pienone nei big match e qualche centinaio di paganti con le curve a prezzi popolari. Se invece le difficoltà riguardassero solo gli abbonamenti, quest’anno si sarebbero dovuti confermare in blocco almeno tutti i vecchi abbonati cui erano già rivolte delle ottime agevolazioni, ma così non è stato. Il calo è indubbiamente dovuto a molteplici fattori, è innegabile. Non ultimo la politica dei prezzi scelta che se è stata rivista, vuol dire che evidentemente oggi era da rivedere. In molti si aspettavano di più e forse avranno un’altra scusa, che buona o cattiva sempre scusa resta, ma non voglio parlare di prezzi perché sappiamo tutti che è molto più una questione di principio. Però il gioco delle colpe, se si vuol fare, va fatto anche quando è il nostro turno.
Stagione 2008/2009 complessivamente 355.000 presenze allo stadio tra abbonati e paganti, che nella stagione 2010/2011 si sono ridotte a sole 260.000. Un crollo più che un calo, parliamo di oltre un quarto delle presenze, o detto in parole semplici: uno tra te, quello alla tua destra, quello alla tua sinistra e quello seduto davanti a te ha marcato visita. Tu, destra, sinistra, vuoto. Tu, destra, giù, vuoto. Destra, sinistra, giù, vuoto. Anche se suona come un ballo di gruppo latino-americano, non è affatto divertente e ci costa un paio di milioni di euro all’anno, roba da niente, ci compri giusto un Matias Silvestre con quella cifra, che te ne fai?
Che i prezzi siano giusti, salati o popolari sono comunque prezzi ridotti, quando fare ciò che si deve lascia il posto a fare ciò che si può. In questo momento paga più uno stadio pieno a prezzi minori che uno mezzo vuoto ai prezzi standard degli ultimi anni. Inutile discutere i motivi di una scelta che adesso è diventata la migliore sia dal punto di vista sportivo che dal tanto vituperato punto di vista economico. La disputa si ridurrebbe alle solite due fazioni, più antiche di guelfi e ghibellini: l’opposizione che è qui a denunciare il marcio del tornaconto monetario, o la stoica difesa di una mano tesa alla tifoseria. In entrambi i casi, non ci interessa. L’evidenza che appare ai nostri occhi è quale opportunità sia questa per tornare noi. C’è ancora da rispettare quel demonio della ragione economica, e quanto ci fanno schifo i soldi quando non sono per noi. La “realtà” è che il Catania ha sempre scommesso su di noi. Ci ha scommesso sette anni fa quando ha preso una società con più creditori che giocatori. Ci ha scommesso due anni fa quando ha iniziato la costruzione di un centro sportivo che si paga in parte negli anni se la gente lo apprezzerà. Ci ha scommesso adesso facendo il suo, sulla fiducia che noi faremo il nostro.
Scommetti sul Catania perché il Catania ha scommesso su di te. Scommetti sul Catania, senza “voler vedere prima che squadra fa”, se è vero che tifi solo la maglia. Scommetti sul Catania perché ci credi, e il perché si spiega da solo. Scommetti sul Catania perché lo ami, e il perché non si spiega proprio.
Non avessi mai visto quegli spalti accecanti di rosso e d’azzurro, avrei sopportato gli enormi squarci incolori. Non avessi mai sentito quella bolgia, avrei sopportato i boati del silenzio. Non avessi mai respirato quella passione, avrei sopportato il torpore. Non fossi mai stato parte e partecipe di tutto questo … ma lo sono stato e l’eco non si è ancora spento. Quando l’amore traboccò e diede vita a cori, sciarpe e bandiere.
[Daniele Lodini – Fonte: www.mondocatania.com]
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