Nel presentarvi la sfida di oggi ci piacerebbe partire dalla fine, da quell’ultima affermazione rilasciata ieri da Ancelotti in conferenza stampa, quando dispensando complimenti per il nostro Billy Costacurta, attuale tecnico del Mantova, ha affermato: "Il Milan sta sfornando ottimi allenatori, frutto della cultura del lavoro che ci ha trasmesso Sacchi". Una dichiarazione di valenza storica ma che potrebbe apparire convenevole e slegata dal contesto Chievo. Non sempre le cose appaiono come sono o come è ovvio che siano. Diciamo questo perché ci convinciamo sempre più nel credere che Carlo Ancelotti non possa considerarsi un vero allievo di Sacchi e vi spieghiamo perché. Basta risalire alla primavera del 1983, allorquando da calciatore, contribuì alla vittoria dello scudetto della Roma. Era quella la squadra allenata dal barone rossonero Nils Liedholm, di Falcao e Bruno Conti, del nostro ex Maldera e di Pruzzo. Fu la prima squadra in Italia a vincere il campionato giocando con il modulo a zona, ad un anno di distanza dalla straordinaria impresa della nazionale di Bearzot laureatasi campione del mondo con la collaudata marcatura a uomo e il contropiede all’italiana. Il terremoto tattico del tecnico svedese colpì Coverciano e fu una svolta epocale che lasciò in Carletto un segno indelebile. Era la Roma del fraseggio in orizzontale, del concetto innovativo di chi tiene più la palla alla fine vince. Si dovette però attendere la fine degli anni ottanta per ammirare una squadra italiana capace di interpretare la zona totale in velocità e con assoluta padronanza del campo e del gioco: era nato il Milan di Sacchi, delle verticalizzazioni, del pressing alto, della squadra corta e del fuorigioco. Carletto anche in quel caso risultò essere un ottimo interprete, ma l’esaltante esperienza di Roma era già pietra miliare del suo credo calcistico. Da tecnico ne ha dato prova più con i fatti che con le parole, sicuramente con un gioco più vicino al barone svedese che alla dottrina del mister di Fusignano. Nel suo primo Milan, tutti esaltammo la trasformazione di Pirlo nel ruolo che era stato di Falcao, calato perfettamente in un centrocampo di ottimi palleggiatori. In quel tic e toc di Carletto un bel giorno venne alla luce un certo Kakà, che con il suo scatto e il suo dribbling in corsa riuscì a dare alla squadra la velocità che gli mancava negli ultimi metri. Sia chiaro Carletto ha riconosciute e invidiabili virtù di stratega sommate alla saggezza profusa nello gestire così tanti campioni. Il suo fare serafico, specchio dell’amato maestro svedese, è un rifugio per la serenità della squadra e dell’ambiente. Ma dai fotogrammi storici della sua vita professionale deduciamo che da ora in avanti forse la vera sfida per Ancelotti non sarà, come accadrà già questo pomeriggio, con Di Carlo e il suo Chievo, ma con se stesso e con le sue ataviche rimembranze che lo catapultano al fraseggio monotematico dei tempi della lupa.
Tornando ai giorni nostri, è vero che la scorsa domenica a Lecce abbiamo giocato meglio che nelle precedenti trasferte, è vero che abbiamo sbranato numerose palle gol, ma è anche vero che questo non può e non deve essere l’alibi per i due punti persi, ancora meno l’arbitraggio (bravo Galliani), oltretutto avendo subito il gol del pareggio con l’unico tiro indirizzato nello specchio della porta e avendone realizzato uno fuori dal teorema Ancellottiano: Pato, da qualche secondo in campo, dava subito sfogo al suo istinto naturale, trascurando per un attimo le consegne ricevute. Scatta come un fulmine sino alla linea di fondo, crossando per lo smarcato R80 che fa da sponda mettendola dentro. 1 a 0 e immediata sostituzione: fuori l’attaccante che aveva fatto tremare le gambe ai salentini per offrire il fianco agli avversari e regalargli il coraggio necessario a raggiungere il pareggio. Dopo una settimana di chiamate al 115 si arriva alla dodicesima giornata con un Marco Borriello in meno, speriamo almeno che le sventure degli infortuni risultino paradossalmente favorevoli considerando come è andata con Pirlo. L’antipasto è stato servito il sabato dallo stesso Ancelotti con queste testuali parole: "Potrebbe fare Pato la prima punta" (alla fine però il ballottaggio è stato vinto da Inzaghi). Auguri al gigante Marco ma l’impiego di Pato a tempo pieno non sarebbe certo una brutta notizia e poi condividiamo anche la maggiore presa di coscienza delle reali potenzialità della squadra, limitando al minino dovuto il rispetto per l’avversario evitando di trasformarlo nel gigante Golia. Queste le reali sembianze del Chievo: peggiore attacco della massima serie con sei reti realizzate, tante quanti i punti fin qui in classifica. Nelle ultime sei giornate ha totalizzato un solo punto, 3 in meno dell’ultima Reggina, riuscendo a segnare un solo gol in trasferta in 12 gare. E’ vero che il calcio è imprevedibile, che non si parte mai battuti, ma dobbiamo comunque smetterla di essere proprio noi a voler resuscitare i morti. La vera sfida per vincere lo scudetto è battere queste squadre (con le grandi è un’altra musica), metterle sotto e dargli almeno due gol di scarto per evitare brutte sorprese. Uno sforzo abnorme, quasi fossero le fatiche di Ercole, perseverando con quel possesso palla divenuto lezioso e irritante, da far rivoltare nella tomba lo stesso Barone svedese che lo inventò. Una spruzzatina da vero allievo di Sacchi da Fusignano, per riscoprire in chiave moderna la corsa e i movimenti, non farebbe certo male a questa squadra. Chissà che l’esempio di Billy non sia stata la dritta giusta? Una squadra tosta che sappia anche dare spettacolo con le qualità immensurabili dei suoi campioni. Questa deve essere la vera sfida da vincere per il mister di Reggiolo. Non ci illudiamo certo di potergli far cambiare idea, anche perché se non c’è riuscito il cavaliere è tutto dire. Ma una evoluzione, una invenzione per uscire definitivamente da questo moto perpetuo ce l'attendiamo, o almeno ci speriamo ancora affinché possiamo dire che la sfida di Carlo Ancelotti almeno oggi è stata vinta. |di Giacomo Chillè - Fonte: www.ilveromilanista.it| - articolo letto 178 volte