Le scorse settimane, molto prima del tracollo di Palermo, avevamo preso le distanze da quella fumata di euforia che sembrava aver oppiato tutti. Erano stati una serie di risultati positivi ad alimentare le nostre illusioni, nulla più. La vivacità del gioco era apparsa latente, la condizione fisica approssimativa, più che diavoli in campo i nostri apparivano angeli, pronti ad offrire l’altra guancia quando l’avversario cominciava a menare. Così anche le audaci convinzioni del tecnico finivano per rotolare via come il pallone, raccolto dentro il sacco 9 volte in 15 giorni in 4 gare ufficiali. Ce la siamo cantata e suonata come una serenata stonata con tanto di secchiate d’acqua in faccia, dovendo ricorrere a stregoni, profeti, medici di base, strizza cervelli, tutti concordi sulla diagnosi e sulle variopinte terapie d’urto. Chi asseriva che le ricadute, che da anni ormai mettono a dura prova le coronarie, sono assolutamente salutari. Chi infieriva sulla paradossale coincidenza, quasi una iettatura, dei risultati conseguiti con la presenza in campo di Andrea Pirlo: 1 punto in 4 partite e 9 reti subite. Chi invece lamentava le deficienze della squadra con un’altra paradossale coincidenza quella dell’assenza di Gattuso: nelle tre partite che il ringhio rossonero non è sceso in campo sono state altrettante sconfitte (solo coincidenze?). Finalmente, dopo il fumo negli occhi, sulla via di Damasco, perdon Palermo, abbiamo riacquistato la vista dopo aver toccato per una settimana il tetto della classifica per poi assistere impietriti ad uno scivolone degno della hit parade di paperissima: 5 punti nelle ultime 4 gare di campionato, 7 in meno di chi sta al comando, 2 in meno dello stesso Catania, da molti giudicato in fase calante e che andremo proprio oggi ad affrontare. Dopo le montagne russe avremmo potuto anche noi esordire scrivendo quello che anche sui muri da tempo è palesemente leggibile. Per sedare le polemiche, lo sconforto, la delusione vi invitiamo invece a rispondere a queste due domande: Cosa c’è di salutare nell’essere impallinati nei glutei e trovarsi a sei punti dalla vetta, scalzati, anche se a pari merito, dal secondo posto in classifica? Cosa c’è di salutare nell’essere sbattuti fuori dalla coppa Italia alla nostra prima apparizione? Le sconfitte sono sconfitte e crediamo più opportuno chiamarle con il loro nome, solo così possiamo cominciare a smettere di credere che la prossima volta andrà meglio per poi dover ricorrere urgentemente alla rianimazione. E’ vero che perseverare è diabolico e parlando del diavolo ci potrebbe anche stare, ma appare più opportuno cominciare a valutare nuove e più reali strategie, drastiche o dolorose che siano ma capaci di suscitare nuove speranze. I teoremi tattici della nostra squadra sono ormai da tempo un libro aperto di pubblica lettura. Scusate la profanazione: la domenica in chiesa si legge il vangelo secondo Matteo, allo stadio il vangelo secondo Carlo. Anche il tecnico meno capace lo ha adottato come formulario delle proprie preghiere, così affondare la corazzata rossonera è diventato, anche per gli allocchi, un gioco da ragazzi. Chiaramente dopo 14 giornate nessuno di noi ha voglia di abdicare dalla lotta per lo scudetto, forse però per ripartire dovremmo almeno smetterla di considerare questo obiettivo il chiodo fisso della stagione. Fare la corsa poi su chi guida il gruppo complicherebbe maggiormente le cose e noi abbiamo bisogno di scelte coraggiose e in prospettiva. Non sappiamo quanto il tecnico, dopo la sbandata, sia desideroso di dare una vera sterzata, le sue dichiarazioni come sempre non lasciano intravedere nuove soluzioni, nuove idee. Questo è l’aspetto deprimente e che preoccupa di più e di conseguenza, per i medesimi motivi, non possiamo considerare le sconfitte salutari.
Il bivio Catania non è un’ultima spiaggia ma potrebbe trasformarsi in una partenza verso un nuovo percorso, altrimenti diviene anche legittimo che qualcuno dei maggiori interpreti cominci a sbuffare. L’intervento di Kaka quello si lo riteniamo salutare, non evidenzia frizioni con il tecnico ma la richiesta di un chiarimento per ripartire c’era da aspettarsela. Questa la risposta di Ancelotti in conferenza stampa: "Con Kakà parlo tutti i giorni, conosco il suo pensiero e non vedo il disagio che ho letto sui giornali. Gioca in posizione più arretrata e per questo segna meno. E' un momento di riflessione, non di disagio. Si cerca, tutti assieme, di fare il bene della squadra. Se vogliamo parlare della sua fase realizzativa continuo a dire che dipende solo dal suo raggio d'azione”. La scarsa capacità offensiva della squadra non si risolverà in un batter d’occhio ed al primo chiarimento, non illudiamoci ancora di assistere già da oggi ad una metamorfosi radicale, però il fatto che anche nello spogliatoio se ne cominci a parlare è un segnale che lascia ben sperare… almeno questo.
Ritrovare poi Water Zenga è anche un insidia in più. L’ex portierone ha sofferto durante la sua carriera la frustrazione (chiaramente non lo ammetterà mai) di vestire la maglia dell’altra sponda dei navigli a cavallo della più lunga e gloriosa stagione della storia rossonera, da Sacchi a Capello. Immaginate che sfiga per un giocatore della sua classe. L’unico trofeo della sua lunga carriera nerazzurra risale al 1989, uno scudetto sfortunatamente vinto in concomitanza con la vittoria della nostra terza coppa dei campioni, conquistata trionfando e dominando su tutti i campi di Europa. Il povero Walter si trovò anche da campione d’Italia oscurato dalla grandezza dei rivali, dovendo inghiottire uno dei tanti bocconi amari serviti dai cugini dirimpettai. Immaginatevi che parlare di Zenga ha restituito il sorriso anche al nostro Carletto che proprio ieri diceva: “Ho sempre avuto un ottimo rapporto con lui. Gli feci anche un gol in un derby ma non me lo convalidarono”. Vista la piacevole rimembranza storica, che davanti al bivio Catania non vi sia un cartello con su scritto: Destinazione Paradiso? |di Giacomo Chillè - Fonte: www.ilveromilanista.it| - articolo letto 158 volte