MILANO - Abbiamo conosciuto la "progressione logica" della carriera di José Mourinho. Ora, ancora accompagnati dal tecnico portoghese, entriamo in altri particolari della sua storia, sempre attraverso il racconto di Natale offerto, a tutti i tifosi nerazzurri, da Inter Channel.
Intervallo.
Cosa vuol dire ritrovare Luis Figo adesso? Figo ha, in un certo senso, accompagnato la carriera di Mourinho...
"Luis aveva diciotto anni quando l'ho conosciuto ed era già stato campione con la nostra nazionale (ndr.: Figo aveva vinto l'Europeo con la Under 16 del Portogallo nel 1989). Allora Luis era allo Sporting, ci siamo ritrovati poco dopo a Barcellona. Quando lui ha lasciato il Barcellona per il Real Madrid, io sono andato al Porto. Io ho fatto la mia carriera come allenatore, Luis come giocatore, da grande campione. Ci siamo ritrovati qui all'Inter, per me è veramente un piacere grande capire che, dopo molti anni, un ragazzo che voleva vincere tutto - tutte le partite, la partitelle, uno che voleva essere il migliore in ogni allenamento - è rimasto lo stesso".
Quanto conta allenare dei campioni? Quanto può apprendere da loro un allenatore?
"Conta tantissimo. Principalmente perché è una sfida: quando si allena il Chelsea o l'Inter un allenatore deve rinnovarsi ogni giorno. È fondamentale non fermarsi mai nella propria evoluzione, perché si deve motivare giocatori di questo livello, bisogna creare delle situazioni di lavoro quotidiano nelle quali i calciatori trovino motivazioni per allenarsi, sentano di poter imparare. Sollecitare ad imparare un vero campione non è facile. Diventa per un allenatore un obbligo a migliorarsi sempre. Parlavo qualche giorno fa con Costinha, che è all'Atalanta ed è anche un amico, e gli dicevo che avrebbe dovuto allenarsi qualche giorno con noi per vedere come sono cambiato nei miei allenamenti rispetto a quando eravamo insieme al Porto. Non posso pensare di non migliorarmi, è un'evoluzione logica delle cose, è nella mia natura".
Esiste un campione ideale?
"Ho trovato nella mia carriera dei professionisti perfetti. Le qualità sono differenti, parlare di un portiere, di un centravanti o di un difensore centrale o di un capitano è parlare di esigenze completamente diverse. Ma senza entrare nelle caratteristiche tecnico-tattiche, quello perfetto è il giocatore intelligente. Mi piace un giocatore che parli il mio stesso idioma calcistico, che capisca al volo quello che vuole l'allenatore, che non abbia bisogno di essere trascinato. Mi piace un giocatore che ha una grande autostima e una grande automotivazione, che non è mai soddisfatto, che non accetta gli errori. Ho avuto con me dei grandi professionisti e probabilmente questo mi ha facilitato nell'essere un leader forte: penso che sia fondamentale avere in squadra delle personalità importanti".
Ecco, appunto, l'autostima. È possibile trasmetterla a chi non ce l'ha?
"Se lavora in un gruppo forte, di grande personalità, sì. Per me, la squadra perfetta non esiste, ma ci sono squadre con una personalità veramente speciale. L'autostima per me è fondamentale, ma c'è un legame molto stretto con la qualità. Sapere che c'è potenziale, e qualità, accresce l'autostima collettiva, che per me è molto più importante di quella individuale". |Ufficio Stampa Inter - Fonte: www.inter.it| - articolo letto 174 volte