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2008-12-26

Mourinho a Inter Channel: "Io, un navigatore"


MILANO - Il salotto di casa, la televisione accesa. Si torna in campo, virtualmente, insieme con José Mourinho. Continua il viaggio nella storia di Natale regalata da Inter Channel con l'intervista al tecnico nerazzurro realizzata da Susanna Wermelinger che, www.inter.it, vi propone in anteprima esclusiva.

Secondo tempo.

Che cosa ha significato nel suo percorso di crescita ribaltare il destino di una squadra, come è successo con il Porto e il Chelsea?

"È molto bello perché si fa la storia, in un modo assolutamente indimenticabile. Al Chelsea è arrivato un titolo che mancava da cinquant'anni, diventa facile capire perché poi si sia creato un rapporto speciale, si può dire di passione fra un allenatore e uno stadio. A Stamford Bridge ho vissuto dei momenti irripetibili, ho visto la gente piangere. Ho conosciuto un uomo che era stato con suo padre, che ormai non c'era più, all'ultimo titolo nazionale del Chelsea, ancora non si chiamava Premiership, e insieme con me stava vedendo il Chelsea di nuovo campione, ma aveva con sé il nipote.
Era stato a Stamford da figlio e ci tornava da nonno. Questa è la storia. Vincere col Porto, in due anni consecutivi, Coppa Uefa a Champions, è indimenticabile. La Uefa Cup l'abbiamo vinta a Siviglia e io non ho mai visto una cosa così, in quei cinquecento chilometri di distanza, c'erano cinquecento chilometri di coda, Siviglia era piena di tifosi del Porto, fuori e dentro lo stadio: una festa incredibile. La vittoria in Champions League rimane in tutti noi, ma il giorno dopo io sarei andato al Chelsea. Così sono andato via dal campo, praticamente subito, a gara appena finita: avevo fatto il mio lavoro, l'avevo concluso con un successo meraviglioso, avevo dato tutto il mio sforzo, cioè me stesso.
Il giorno dopo avrei iniziato una nuova vita, che volevo, per cui avevo lottato, e qualcuno nel club non ha accettato la mia scelta, aveva pensato che io non avessi il diritto di cambiar vita. Questo non mi è piaciuto tanto, ma in quel momento ero l'uomo più orgoglioso del mondo, la squadra aveva cambiato sedici giocatori al mio arrivo, era una squadra di giocatori giovani, fra i venti e i venticinque anni, portoghesi, che avevamo comprato da piccole squadre, nessuno aveva giocato in nazionale, e quando il Portogallo, anni dopo, è arrivato alla finale dell'Europeo, su undici giocatori ne aveva sette del mio Porto. È stato un lavoro fantastico".

Può esserci amicizia fra allenatore e giocatori e come, poi, si riesce a mantenere freddezza nel prendere le decisioni?

"Sì, può esserci. E non è difficile mantenere la freddezza: i problemi dei giocatori sono i nostri problemi. Quando lascio fuori un giocatore che mi piace come persona, come professionista, che lavora bene, mi fa un po' male, ma lo faccio freddamente, riesco a nascondere i miei sentimenti, le mie fragilità emotive, le devo nascondere. Ma è anche importante che un giocatore sappia che la vita di un allenatore è una vita fatta di decisioni, che per essere un allenatore di una squadra di alto livello bisogna lasciare fuori qualsiasi 'feeling' si possa avere".

Portogallo, Spagna, Inghilterra e Italia, vuol dire esplorare il mondo del calcio. Lei è portoghese, è una terra di grandi naviganti. Come si definirebbe?

"Io sono un navigatore del mondo calcistico. Non sono un allenatore che è felice di rimanere dieci, quindici anni nello stesso posto. Per me è impossibile fare come Ferguson o Wenger: cerco sempre nuove sfide. È ovvio che quando mi piace veramente un club, non voglio cambiare. Al Chelsea ho avuto la possibilità di andare via, in un club che nessuno avrebbe rifiutato, ma ho detto di no. Al Chelsea ero innamorato del club, di Londra, della gente. Dopo l'Inter, l'ho già detto, ci sarà una nazione diversa, mi comporterò come in Inghilterra: quando finirà con l'Inter non voglio rientrare in campo da una porta vicina. Però non penso neanche a quando ci sarà il cambiamento, perché qui sono molto felice, ma quando andrò sarà in un altro Paese".

I suoi esercizi in allenamento sono un patrimonio della professionalità sua e del suo staff. Seicento esercizi diversi, hanno scritto. È vero?

"È una leggenda, davvero non so come si sia sparsa la voce di questo numero, perché neanche io so quanti siano. Di sicuro c'è un'evoluzione nei miei esercizi, dopo ogni allenamento cerco un miglioramento, anche un dettaglio può creare un esercizio diverso. Io e Rui faria aspettiamo sempre il parere degli altri, di Baresi e di Bernazzani, perché tutti osserviamo l'esercizio e possiamo fare qualcosa di diverso. Fra quattro anni lavorerò in un modo differente da quello di adesso. Non mi voglio fermare, sono giovane come allenatore, ho almeno altri quindici anni di lavoro davanti a me a livello molto alto, ovviamente voglio migliorarmi".

Ci sono due correnti di pensiero, chi preferisce allenare campioni e chi sostiene che è nelle promesse che si trova facilità ad allenare. Mourinho ha allenato grandi campioni e ha fatto crescere dei campioni.

"Io alleno tutti. Ho allenato i campioni veri e chi pensa di essere un grande campione e non lo è. Ho allenato dei giovani che volevano tutti i giorni essere campioni e dei giovani che non vogliono essere dei campioni. Ho allenato giocatori di trentacinque anni che sembravano ne avessero diciotto. Ho allenato diciottenni che sembravano averne quaranta. È fantastico averli provati tutti e capire quello che c'è dentro di loro".

Fine secondo tempo.
|Ufficio Stampa Inter - Fonte: www.inter.it| - articolo letto 147 volte


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