Marco Antonio De Marchi nasce a Milano l’8 settembre del 1966, difensore, 182 cm per 74 kg. Muove i primi passi nel Como per poi approdare all’Ospitaletto, trampolino di lancio per una carriera che diventerà importante. L’allora allenatore Maifredi lo porta con se a Bologna dove resterà fino al 1990. Poi il passaggio alla Juventus e successivamente alla Roma. Nel 1993 una scelta di vita: lasciare la serie A per tornare nella sua Bologna, addirittura in C, dove otterrà due promozioni e diventerà per tutti “il capitano”. Anche un’esperienza all’estero con il Vitesse (Olanda) e il Dundee (Scozia), ora la sua nuova carriera come Procuratore.
La tua carriera da calciatore è inizia nell’Ospitaletto, Che ricordi hai di quel periodo?
Meravigliosi, perché era la mia prima esperienza a livello professionistico. Il primo anno è stato anche difficile. Poi, l’anno successivo, ci siamo affermati, abbiamo vinto il campionato con Maifredi battendo tutti i record. E’ stata una cavalcata meravigliosa.
Nel 1987 sei arrivato a Bologna e non era mancato, in città, un certo scetticismo. Come hai vissuto l’arrivo in rossoblù?
Eravamo arrivati in tanti dall’Ospitaletto, in sei o sette più l’allenatore e il preparatore. Ci facevamo coraggio l’uno con l'altro, avevamo anche il presidente che ci coccolava. Ci facevamo forza tutti insieme perché eravamo convinti, nonostante lo scetticismo, che a Bologna ci potessimo stare tutti.
Qual era il tuo rapporto con Maifredi, tuo allenatore anche, poi, nella Juve?
E’ stato quello con il quale ho mosso i primi passi a livello professionistico. Gli devo tanto. Evidentemente ha visto in me delle qualità per portarmi con sé prima a Bologna poi a Torino. Calcisticamente, abbiamo passato momenti bellissimi.
Sei stato protagonista di stagioni positive nel Bologna, mentre nella parentesi alla Juve le cose non andarono così bene. Cosa successe a Torino?
E’ quello che pensano in molti, ma non è esattamente vero. Con Maifredi è stata un’annata negativa, per la prima volta nella storia la Juve non si era qualificata per la Coppa Uefa. Però ci si dimentica che io ero alla Juve anche con Trapattoni, e quell’anno vincemmo la Uefa. Quantomeno, ho pareggiato i conti.
Nel 1993 sei tornato a Bologna. Da cosa nacque la tua decisione?
Nacque proprio dopo la vittoria della Coppa Uefa. A me era scaduto il contratto con la Juve e all’epoca non era come oggi, c’era un parametro da pagare e costavo parecchio. C’era stato l’interessamento di diverse squadre in serie A, poi ricordo che, con tempismo perfetto, si era infilato Luca Cordero di Montezemolo. Mi disse: ‘Vorremmo portarti a Bologna, ci serve uno come te, con il tuo carisma e il tuo carattere. Abbiamo bisogno di persone come te per iniziare la ricorsa verso la serie A’. Io di Bologna mi sono innamorato subito, fin dal primo giorno, tanto è vero che ci vivo ancora oggi. Insieme al mio procuratore parlammo con Gazzoni e buttammo giù una bozza di contratto. Io mi presi qualche giorno per pensare, perché comunque avevo 26 anni e appena 20 giorni prima avevo vinto la Coppa Uefa mentre in quel caso sarei dovuto andare in serie C. Contemporaneamente ricevetti anche l’offerta dell’Atalanta, che mi chiese di andare subito da loro e firmare. Non era una squadretta, era l’Atalanta, tra gli altri, di Montero. Decisi di andare a Bologna e di iniziare quel percorso che è poi culminato con la soddisfazione del ritorno in serie A dopo due promozioni consecutive dalla C.
Tra quelli segnati, qual è il gol, che ricordi con più emozione?
Quello contro il Lecce, il primo anno in serie A con Maifredi. All’epoca c’erano ancora i due punti, e quindi un pareggio valeva tanto. Quell’annata partimmo con una vittoria e poi subimmo cinque sconfitte consecutive. Un’ulteriore sconfitta a Lecce ci avrebbe aperto le porte della B. Eravamo in 10 e al 92’ feci gol, un gol che diede punti e la forza per andare a vincere la partita successiva in casa contro il Pescara
Nel 1997 è iniziata la tua esperienza all’estero, prima al Vitesse e poi al Dundee. In quest’ultimo caso, in particolare, non mancarono problemi. Cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
Innanzitutto, per me andare via era stata come una coltellata. La mia intenzione era quella di finire la carriera a Bologna, mi consideravo una bandiera. Probabilmente nel momento in cui non mi hanno rinnovato il contratto, ci si è dimenticati di quello che avevo fatto, ci si è dimenticati del capitano. Perché nel bene o nel male mi ero preso certe responsabilità. La mia richiesta era quella di un biennale allo stesso stipendio, non pretendevo nulla di più. Mi era stato proposto un contratto di un anno alla metà dello stipendio. Un modo per dirmi arrivederci e grazie mentre prima mi avevano cercato per portarmi a Bologna. Parlai anche con Gazzoni, gli ricordai cosa avevano fatto per avermi e che avevamo ottenuto solo dei successi. A mio avviso avrebbe dovuto esporsi di più per tenermi. Comunque, ho poi fatto la scelta di andare all’estero, perché non volevo giocare contro il Bologna. In Olanda ho passato i tre anni più belli della mia vita e anche adesso ogni tanto ci torno. E’ stato un periodo meraviglioso dal punto di vista professionale e umano. Per quanto riguarda il Dundee, l’errore più grosso è stato quello di aver lasciato il certo per l’incerto. In realtà c’erano anche presupposti positivi, ma lasciare l’Olanda si è rivelato un errore, l’errore più grande della mia carriera.
Ora hai iniziato la carriera di procuratore. C’è un giocatore che ti senti di consigliare al Bologna?
Il Bologna ce l’ha già. E’ Casarini, sicuramente in questo momento il giovane più di prospettiva. E’ un ragazzo umile, serio, che gioca nella Nazionale di categoria. Anche il suo allenatore ne parla come di un ragazzo con la testa sulle spalle, e lo sta dimostrando. Poi di giovani che possono essere di prospettiva il Bologna ne ha anche altri, ma Casarini è quello più pronto.
Da procuratore, cosa pensi dell’arrivo a Bologna dei tre giocatori sudamericani?
Difficile dare un giudizio, perché comunque sono stati visti poco all’opera. Sicuramente Salvatori è molto competente e ha uno staff di osservatori molto bravi. Avranno avuto le loro motivazioni se hanno deciso di fare queste scelte e questi investimenti. Ora Britos si sta mettendo in mostra, ma comunque il primo anno è difficile per tutti, bisogna dare il tempo ai giocatori stranieri di adattarsi al campionato italiano. Aspettiamo a giudicare.
Da ex difensore, qual è il tuo giudizio sull’attuale difesa del Bologna? Come è possibile superare i limiti che, in qualche occasione, sono emersi?
Io credo che ci volesse qualche chilo e qualche centimetro in più. Certo sono tutti giocatori che hanno una certa credibilità, per quello che hanno fatto e per le loro possibilità. Ma ad esempio, su calci piazzati ci vogliono i saltatori, e qualche chilo e qualche centimetro in più sarebbe servito. Moras, ad esempio, è alto, ma è comunque magro, non è un corazziere alla Materazzi. Resta comunque il fatto che sono bravi difensori e che in ogni caso non va giudicato un reparto, ma la squadra.
Secondo te alla fine il Bologna riuscirà a salvarsi? Delle dirette concorrenti nella zona “calda”, qual è quella da temere di più?
Intanto, a me Mihajlovic piace tantissimo. Mi ha dato la sensazione di essere uno di quegli allenatori con molto carisma e personalità, alla Mourinho o alla Mancini. E a me piacciono gli allenatori che dicono le cose come stanno, che trasmettono alla squadra la loro personalità e credo che Mihajlovic abbia queste caratteristiche. Sono convinto che il Bologna si salvi. Certo, se in termini di gol qualcuno desse una mano a Di Vaio, che ha già fatto tantissimo…Il Bologna ha comunque la possibilità di salvarsi, anche se dovrà comunque lottare fino alla fine. Difficile dire qual è l’avversario da temere di più, anche perché le altre si stanno riprendendo. Non c’è una squadra già destinata, basta pensare al Cagliari lo scorso campionato: sembrava già defunto e invece, incredibilmente, è riuscito a salvarsi. Serviranno determinazione e concentrazione. E da questo punto di vista il Bologna è avvantaggiato perché ha Mihajlovic.
Sarai presente ai festeggiamenti per il centenario rossoblù?
Se mi invitano, come mi hanno invitato ai festeggiamenti per la promozione in serie A, ci sarò molto volentieri. Mi piacerebbe mi chiamassero, mi farebbe piacere esserci. |di Cinzia Saccomanni - Fonte: www.zerocinquantuno.it| - articolo letto 891 volte