Contro la "dea" serve la spinta di San Siro: si vince anche con la fede. A quanto pare per molti sarebbe bello svegliarsi a giugno, a campionato finito e incubo svanito. E invece no! Siamo ancora tutti a bordo, costretti a remare per non smarrire la rotta. Ci attendono 80 lunghi giorni e 80 lunghe notti, 12 gare da giocare e 36 punti in palio sui quali scommettere. Tanto da soffrire e poco da gioire prima del definitivo verdetto. Se sarà stata un’avventura ancora tormentata, lo scopriremo solo vivendola. In questo impervio cammino la panchina di Carlo Ancelotti, nonostante tutto, resisterà. Che piaccia o no sarà lui e solo lui a condurre l’esercito in battaglia, armato come sempre di parafulmine e di sorrisi di circostanza, il bersaglio ideale contro il quale scagliare la prima pietra. Carletto ha le sue colpe da farsi perdonare, anche se non così decisive come diviene semplicistico credere. Mummificato e pietrificato al suo monotematico modulo tattico, il tecnico paga dazio anche per la famigerata complicità che lo lega ad alcuni giocatori. Barcamenarsi poi nel guazzabuglio dei problemi fisici e psicologici di un gruppo così logoro non è stato semplice nemmeno per lui, obbligato spesse volte a dover difendere l’indifendibile. In questa fase gioverebbe più un sergente di ferro che un generale consenziente, ma lui è fatto così, sempre pronto a raccontare la favola più bella: “Alla squadra basteranno due innesti per tornare competitiva”. Poteva forse permettersi di dichiarare che parecchi giocatori sarebbero da licenziare in tronco o da pensionare pagandogli anticipatamente il trattamento di fine rapporto? Non avrebbe messo ancora più a soqquadro lo spogliatoio? Dopo tutto si chiama Carletto e non José e credetemi è meglio così.
Le stesse dichiarazioni del cavaliere, prima di essere giustiziate e condannate alla lettera, forse avrebbero meritato più approfondite interpretazioni. Siamo convinti che il nostro presidente non si accontenti di vivacchiare fra il terzo e il quinto posto come qualcuno vuol farci credere. Partire in svantaggio o essere deriso non è una molecola riscontrabile nel suo dna. Attendersi che il suo disappunto e la sua collera si manifestino con proclami populisti, soprattutto in tempi di vacche magre, sarebbe da allocchi. Appare più razionale annunciare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina piuttosto che regalare alla fantasia dei milanisti un nome di un campione da acquistare. Chiaramente da tifoso, come tutti noi tifosi, ha a cuore le sorti della squadra. Anche lui, come noi e più di noi, se la passerà scrivendo e sognando pindariche formazioni e onirici assetti tattici, con la differenza che per noi è un esercizio di pubblico diletto, liberi come siamo di fare a gara a chi la spara più grossa, per lui no! Che poi quest’amore non sia condiviso in famiglia ci potrebbe anche stare; a quanto pare proprio sui figli la viscerale passione del padre sta cominciando a pesare. Saprà lui se è giunto il momento di passare la mano piuttosto che offrirsi alla propaganda della contestazione. Per il successore, che sia Willy Wonka o lo sceicco Mansour, sarà impresa ardua pensare solo di poter eguagliare quello che in 23 anni il presidente Berlusconi è stato capace di vincere e di fare. Se Maldini si è potuto permettere di rispondere al portoghese dalla lingua biforcuta, opponendo il teorema delle 5 volte tanto il merito sarà stato in parte anche il suo. Non credete? Detto questo, comprendiamo come le circostanze favoriscano il disfattismo e il trasformismo, ma ancora nulla è perduto. Ricostruire un percorso che possa garantirci il terzo posto, non sarà certo un traguardo ambizioso, né quello che avevamo sognato, ma sarà decisivo se vogliamo guardare con speranza al futuro. Il Milan non può permettersi di restare ancora fuori dal calcio che conta; per la rifondazione, a chi ritiene più salutare il quinto posto, rispondiamo che è sempre più dolce piallare che segare a tutti i costi. A farci male bastano già i colpi di scure che ci obbligano a mettere in campo di solito formazioni rimaneggiate.
Oggi poi saranno particolarmente felici gli amici fischioni di Seedorf: nessuna sorpresa dell’ultima ora, l’olandese non è stato nemmeno convocato. Contro un avversario difficile e di tutto rispetto il tecnico sarà costretto a ridisegnare l’assetto: “Siamo in una situazione di emergenza. Un centrocampista tra Pirlo e Beckham farà il trequartista spostando Jankulovski a centrocampo. In difesa uno tra Antonini e Senderos. Noi dobbiamo pensare solo al nostro campionato senza pensare alle altre squadre”. Non volendo pensare agli altri, i risultati degli anticipi di ieri ci hanno paradossalmente avvantaggiato; se oggi poi saremo bravi e fortunati a chiudere in fretta la partita non avremo bisogno di prestare attenzione nemmeno al risultato di Firenze. L’Atalanta è una squadra tenace e caparbia: tatticismo, velocità aggressività sono tutti aspetti che hanno favorito la crescita e le affermazioni dei ragazzi di Del Neri, oltretutto sono proprio queste le caratteristiche degli avversari che soffriamo di più. Non facciamoci ingannare troppo però dalle apparenze, i bergamaschi fuori casa non hanno un ruolino di marcia esaltante e dovranno anche loro fare i conti con defezioni importanti. Per chi si attende il partitone che non si sintonizzi nemmeno sul canale digitale o satellitare che sia. La gara di oggi sarà intrisa di sofferenza e di tensione, dopo tutto questo sarà il percorso per legittimare o respingere ogni dolorosa realtà. A chi ha già emesso la condanna, a chi già non crede, a chi ha smarrito l’entusiasmo, ai denigratori e ai sostenitori dell’ignoto, agli sbandieratori e agli smemorati, a chi ha dimenticato che si vince anche con la fede rispondiamo che almeno oggi l’inferno può attendere. |di Giacomo Chillè - Fonte: www.ilveromilanista.it| - articolo letto 190 volte