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2009-04-11

Giocare col dolore: Dov'è andato a finire il calcio?


Sarà un Sabato strano; perse le speranze di ritrovar, salvi , i nostri fratelli italiani sotto le macerie d'Abruzzo, gli appassionati ed i giornali torneranno a parlar di una “Salvezza” , quella del campionato, con un omotonia talmente stridente da suonar come una bestemmia alla vigilia del giorno più cristiano del calendario gregoriano.
Ennesimo riflesso di quanto il calcio sia ormai ostaggio delle logiche imprenditoriali di chi, governandolo da padrone straniero, ha buona cura di far prevalere il valore della moneta a quello sportivo, le regole del business a quelle umane e civili dei primordi, utilizzate adesso solo come bandiera di perbenismo quando c'è da lavarsi un po' la propria immagine pubblica , dato che la coscienza, se parliamo di coscienza, quella sì avrebbe bisogno di lacrime vere e vera compassione per dar pace al dolore, ed a questo senso d'impotenza che par quasi peccato d'omissione.
La beneficenza di questo calcio, non è la beneficenza degli italiani. Ha lo stesso nome, “beneficenza” , solo per ingannare chi, in questa parola, legge sentimenti di carità, misericordia e compassione che questo calcio, invece, non ha: dietro l'apparenza d'un nobile gesto sta l'incapacità di provare sentimenti veri, umani, e per mascherare tale ignominia, e solo per questo, il calcio si cinge delle vesti del samaritano, scambiando la Pasqua per il Carnevale.
Non contro le società, né contro la loro beneficenza. Tutti vittime d'un unico padrone; costretti, loro a giocare, noi ad assistere, ad uno spettacolo in cui, il campo verde assomiglierà terribilmente a quello dove il giorno prima giacevano le bare delle vittime , e le ginocchia dei famigliari. Una situazione non imbarazzante, ma davvero, moralmente insopportabile. Quando morì Gabriele Sandri, in quella tragica domenica mattina, il silenzio della tragedia pervase gran parte degli stadi d'Italia; nulla di imposto, fu una muta assise che trovò, nei valori sportivi che ne animavano l'agire, la giusta condotta da tenere in rispetto di quanto accaduto. Questo, solo per citare un episodio, uno dei tanti.
Si può urlare di gioia, col lutto ancora al braccio? O rammaricarsi d'aver perso una partita , quando il giorno prima magari s'è pianto per almeno una delle 287 (e speriamo non di più) vittime, perse in questo terremoto? Chissà,forse sono i confini delle nostre case , delle nostre città, delle nostre regioni a far sembrare, quel che è successo in Abruzzo, qualcosa di vicino sì, ma non così tanto da sentire realmente nostro, come invece realmente nostro è , questo lutto, e render così tutto sommato priva di ignominia la scelta di chi ha imposto: “Sabato si gioca”.
Andare avanti, non lasciare sotto le macerie (oltre ai propri affetti, umani e non) anche la speranza di ricostruire il futuro, è giusto, ma c'è un tempo per ogni cosa , e questo non è ancora tempo per ridere e scherzare, questo significa giocare col dolore. Per capirlo basterebbe aver conservato anche solo un briciolo di quell'umanità che ci distingue, non dagli animali, ma dalle pietre. Giacché tra le macerie de L'Aquila, sovente, s'avvistano cani guaenti girovagare sui detriti, lo sguardo perso, un collare: sono alla ricerca d'un padrone che non c'è più.
|di Marco Di Mauro - Fonte: www.mondocatania.com| - articolo letto 143 volte


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