Stefano Torrisi, nasce nel maggio del 1971 a Ravenna, difensore centrale, 185 cm x 74 kg. Doppio trittico con la maglia del Bologna. Nel primo (1995/98) si toglie diverse soddisfazioni (anche una chiamata in Nazionale), nel secondo (2004/07) è costretto alla retrocessione in serie B, dove poi chiuderà la carriera con i rossoblu. Forte fisicamente, dal carattere deciso.
Hai vissuto la tua carriera in buona parte tra l’Emilia e la Romagna, la tua terra. Un incentivo a fare ancora meglio? Sentivi queste squadre più tue?
Posso dire di essere stato fortunato. In realtà si è trattato di una coincidenza casuale e non. Ad esempio quando ero piccolo ho sempre desiderato di giocare nel Bologna, così come ad un certo punto sognavo di fare un’esperienza all’estero. Giocare vicino a casa, ed anche a Ravenna dove sono nato, ha certamente contribuito a rafforzare il legame con la mia terra, a segnare la mia carriera e a crescere come persona.
La carriera ti ha potato poi a giocare anche nel Torino e nella Reggina, poi all’estero. Cosa ricordi di queste esperienze?
Torino la ricordo come una parentesi felice. Di negativo c’è stato il fatto che ero giovane, troppo giovane per vestire la maglia granata, che dà pressioni particolari e che devi essere pronto per indossare. Ho un po’ il rammarico di non essere riuscito a sfondare nel Torino. Reggio Calabria è stata un’esperienza positiva, non dimentico gli applausi che mi hanno tributato quando poi sono tornato. E’ un ambiente completamente diverso, la gente la vive più intensamente, è più sanguigna. E poi c’è il presidente Foti, persona che stimo, alla quale voglio bene e che ogni tanto sento.
Veniamo al Bologna. Hai vissuto due parentesi in rossoblu: la prima tra il 1995/98 e la seconda tra il 2004/07. Due momenti differenti, due realtà diverse. Come le rivivi oggi?
Si è trattato di tappe e momenti diversi. La prima parentesi è quella che mi ha dato più soddisfazioni è che è stato poi un trampolino di lancio anche per l’Europa. Una parentesi che ha cambiato la mia carriera dal punto di vista economico ma anche personale, visto che poi Bologna l’avevo un po’ come città base, quella in cui tornavo. La seconda parentesi è stata positiva dal punto di vista personale ma globalmente negativa. Avevo rinunciato ad un biennale che mi era stato offerto dalla Reggina perché speravo di ritornare e la chiamata è effettivamente arrivata, ad un giorno dalla chiusura del mercato. Sono tornato un po’ in sordina, nel silenzio generale. Dovevo fare la riserva ma poi sono stato uno dei protagonisti. Poi c’è stata la B e il primo anno della rinascita con il passaggio da Gazzoni a Cazzola. Ho vissuto questo periodo un po’ in disparte, probabilmente quello che potevo dare dal punto di vista calcistico l’avevo già dato. Facevo da spalla per aiutare i giovani.
Nella tua carriera hai avuto diversi allenatori. Cosa ricordi di ciascuno di loro?
Ho avuto la fortuna di aver gli allenatori più bravi del momento: Sacchi, Malesani, Guidolin, Del Neri, Ulivieri, Mandorlini, che secondo me è un bravo allenatore. Malesani è probabilmente quello con il quale ho vinto di più mentre il rapporto più intenso l’ho avuto con Ulivieri. Un rapporto di amore e odio che alla fine è forse finito in odio ma è un tecnico che ho avuto per sette anni ed è quello con il quale il rapporto è stato più intenso.
Nel 1995/96, la chiamata in Nazionale da parte dell’allora CT Cesare Maldini. Pensi avresti potuto dare di più ai colori azzurri?
A forza di sentirmelo dire ormai mi sto convincendo anche io che è così. La verità è che sin da piccolo sognavo di arrivare in Nazionale. L’obiettivo era proprio quello di giocare con la maglia azzurra, non tanto quello di fare chissà quante presenze. In generale, e anche per la parentesi in Nazionale, non ho particolari rimpianti, sono arrivato dove volevo arrivare.
Da qualche tempo hai dato l’addio a calcio. Ti manca questo ambiente?
Il calcio continuo a seguirlo da lontano. Sinceramente non mi manca, credo di aver dato tanto e di aver ricevuto probabilmente di più. Non mi manca anche perché ero pronto al fatto che prima o poi dovesse finire, sono arrivato al momento dell’addio molto sereno. Restare nell’ambiente, magari come allenatore, non era una mia ambizione. Avevo già alcuni progetti a cui pensare come quello della ristorazione, e amici anche al di fuori del mondo del pallone, aspetto che reputo molto importante. L’ho vissuta serenamente, quindi, oggi quando mi va di giocare a calcio lo faccio con gli amici e mi diverto.
Veniamo al Bologna di oggi. Che idea ti sei fatto, cosa sta succedendo ai rossoblu?
Io credo che in caso di retrocessione i motivi possano essere tre: o perché sei la squadra più debole, o perché hai sopravvalutato la squadra o per una confusione generale a livello societario e tecnico. Nel caso del Bologna, direi che si tratta di quest’ultima ipotesi. La squadra è stata fatta prima pensando che fosse sufficiente l’organico dello scorso anno, poi pensando al mercato di gennaio per rimediare agli errori e poi pensando che con un nuovo allenatore potesse esserci la svolta. Forse si è pensato un po’ troppo…
Come se ne esce, allora?
In questo momento non serve un allenatore, ma uno psicologo. A questo punto a livello di corsa non si può cambiare tanto, o ce l’hai o non ce l’hai. E’ sulla testa che si può lavorare. Se Papadopulo riuscirà ad avere confronti sinceri con i giocatori, potrà costruirsi un gruppo solido, di persone che credono davvero all’obiettivo salvezza. In questo senso il ritiro può essere positivo, può lavorare molto sull’aspetto psicologico.
Tu hai giocato a Bologna, Torino e Reggio Calabria, squadre in questo campionato impegnate nella lotta per non retrocedere. Che piazze sono?
L’ambiente bolognese, anche quando contesta, lo fa in maniera meno ‘fisica’, è per certi versi più tranquillo, fa parte della cultura della città. A Reggio Calabria il tifoso si fa sentire di più, è una presenza silenziosa ma che si fa sentire. E poi c’è il presidente che sa essere uno psicologo per la squadra. Mi auguro che anche Papadopulo sappia esserlo.
Che messaggio ti senti di dare ai tifosi del Bologna?
Devono continuare a fare i tifosi sempre in maniera costruttiva. La stessa contestazione di domenica all’aeroporto la giudico positiva, hanno sì fatto vedere il loro disappunto, ma il messaggio è stato: “Ragazzi, facciamo qualcosa perché qui si rischia di retrocedere”. Essendo distruttivi si rischia di togliere credibilità ai giocatori, è peggio. Bisogna guardare al risultato finale
Una eventuale retrocessione, cosa significherebbe per Bologna?
Sarebbe un danno d’immagine per la società e la città, sarebbero soprattutto loro a pagare le conseguenze peggiori. Resta il fatto che, sia in caso di salvezza e quindi permanenza in A che di retrocessione, la squadra va rifondata.
Ma che possibilità di salvezza vedi per il Bologna?
Tutto dipenderà dalle partite con Torino e Reggina, se si vincono questi due spareggi, allora è praticamente fatta. Diversamente ci sono molti rischi. Occorre fare bene gli scontri diretti, vincendo quello che si deve vincere.
Questo significa che consideri già persa la partita col Genoa?
Assolutamente no. E’ vero che il Genoa gioca un buon calcio, probabilmente uno dei migliori in Europa, ma dopo la pesante sconfitta di Palermo e dopo questo ritiro, una reazione dal Bologna ci deve per forza essere. |di Cinzia Saccomanni - Fonte: www.zerocinquantuno.it| - articolo letto 193 volte