Facciamo una cosa: lasciamo per qualche giorno da parte i pensieri che ci hanno travolto questi giorni. Rimandiamo a domenica sera le riflessioni sulla probabile successione di mister Ancelotti, la delusione per non aver salutato degnamente il nostro Capitano e gli interrogativi sul nuovo corso che nascerà la prossima estate. Lasciamo da perdere tutto ciò e concentriamoci sulla decisiva trasferta di Firenze. La Fiorentina sta bene, è carica, crede all’impresa. Arrivare al Franchi con la testa alla domenica precedente o al lunedì successivo potrebbe essere molto compromettente.
LA VIOLA CI CREDE - Partiamo proprio da qui: quando pareggi contro una squadra con un piede e mezzo in serie B e l’avversario che stai inseguendo non sfrutta il turno casalingo per chiudere definitivamente i giochi, crederci diventa inevitabile. Quando invece di perdere due punti ne guadagni uno e hai la possibilità di giocarti le tue carte nello scontro diretto, ti accorgi di non aver più nulla da perdere. Ora dipende da noi: è questo quello che devono aver pensato Prandelli e i suoi quando, raggiunto in extremis il pareggio a Lecce, hanno conosciuto il risultato di Milan-Roma. Se fino alla scorsa settimana la Fiorentina si riteneva già sufficientemente soddisfatta per aver staccato il Genoa nella corsa europea, ora battere il Milan con due gol di scarto significherebbe terzo posto.
COME UN DIESEL - La stagione della Fiorentina è stata altalenante e condizionata dalle fatiche di Champion’s league. Al ritorno nell’Europa che conta dopo nove anni, la squadra viola non è stata proprio baciata dalla fortuna. Incontrare subito avversari blasonati come Bayern Monaco e Lione ha condannato la Fiorentina ad un cammino in salita fin da subito, chiuso al terzo posto con la qualificazione in Coppa Uefa (dove poi è giunta una cocente e immeritata eliminazione contro l’Ajax di Marco Van Basten). Il doppio impegno ha influito negativamente sull’andamento dei ragazzi di Prandelli nella prima parte di stagione ma poi, abbandonato il palcoscenico continentale e la condizione di molti interpreti, la banda di Prandelli ha ripreso a recitare come la scorsa stagione. Ma con un Gilardino in più.
UN RIMPIANTO CHIAMATO GILA - Già, il Gila. Anche se a Milanello non lo ammetteranno mai, la mancata esplosione di Gilardino con la maglia rossonera rimane un gran rimpianto per chi aveva puntato forte su di lui dopo la finale persa ad Istanbul nel 2005. L’inizio stagione di Marco Borriello, fatto di gol e personalità, aveva attenuato un po’ questa delusione. Il successivo calvario del bomber napoletano e il contemporaneo rendimento costante di Alberto, però, non hanno fatto che aumentare il rammarico. Gli ammiratori di Gilardino ricordano le cifre comunque dignitose raggiunte dal Gila nei tre anni di Milan; i suoi contestatori, invece, sottolineano la mancanza d’incisività nei match decisivi e l’incapacità di dimostrare la giusta personalità nel momento in cui si è trovato sulle spalle il peso dell’eredità di Shevchenko. A mio parere la verità sta nel mezzo: se è vero che Gila è spesso mancato nei momenti in cui era più atteso, è anche vero che il suo bottino di gol dev’essere considerato di tutto rispetto se teniamo conto del fatto che al Milan raramente ha goduto dei suggerimenti a lui più adatti: i cross dalle fasce laterali.
IL MERITO DI PRANDELLI - Il lungo infortunio di Adrian Mutu, autentico uomo in più di questa squadra, ha costretto Cesare Prandelli a rivedere i suoi piani tattici. Il collaudato 4-3-3 composto da Gilardino, Mutu e Santana (stagione conclusa in anticipo anche per lui) ha lasciato posto ad un 4-2-3-1 in cui si stanno esaltando due nuovi acquisti in ombra nella prima parte di stagione. La stellina serba Jovetic ha approfittato dell’assenza del rumeno per ritagliarsi un posto fondamentale nello scacchiere viola: è lui ad agire tra le due linee col compito di accendere la luce e fare la differenza dalla trequarti in aventi. Sul binario di sinistra, invece, sta facendo molto bene Vargas. Dopo un deludente avvio di stagione da terzino sinistro, Prandelli ha approfittato del cambio di modulo per rilanciarlo da esterno alto di centrocampo, proprio la posizione in cui è esploso nel Catania di Walter Zenga. I miglioramenti sono stati immediati: spinta costante, notevole apporto qualitativo alla manovra, grande personalità, palloni invitanti in mezzo e, soprattutto, gol pesanti. Il trio alle spalle di Gilardino è completato da Franco Semioli, giocatore molto abile nel cross e nell’uno contro uno. Per il resto formazione quasi fatta, con l’unico dubbio tra Donadel e Kuzmanovic per chi giocherà accanto a Montolivo al posto dello squalificato Felipe Melo. L’altro assente per squalifica, Capitan Dainelli, sarà rimpiazzato dal danese Kroldrup. Completano il reparto Comotto, Gamberini e Pasqual.
SERVE QUESTO - Più che la tattica o la formazione, domenica conterà l’atteggiamento. Serve un Milan diverso, un Milan tosto, un Milan “da finale”, come hanno ripetuti più giocatori in questi giorni. Una squadra che entri in campo convinta di ottenere ciò che vuole. Non una squadra scialba che si accontenti di gestire il favorevole risultato di parità, ma una squadra aggressiva che abbia voglia di meritarsi un traguardo che non arriva certo per grazie divina. Serve una partita così. Per Carlo Ancelotti, per Paolo Maldini, per il Milan che verrà. |di Gabriele Pipia - Fonte: www.ilveromilanista.it| - articolo letto 138 volte