Sono pochi, troppo pochi, i giorni trascorsi dall’ufficializzazione dell’addio di Ricky per trattare l’argomento con la dovuta lucidità ma bisogna tentare di capire il perché di una cessione tanto dolorosa e cosa sarà del Milan, perché il Milan rimane. Le dichiarazioni di Berlusconi, lo si è ben capito, erano politiche mentre Galliani è stato fondamentalmente più onesto con noi tifosi sempre tenendo fede al proprio ruolo in società. Un dubbio sulle reali volontà di Kakà permangono dato che il paulista per giorni o settimane o forse mesi ha partecipato silenziosamente al gioco. Forse non ha guadagnato nulla dal punto di vista economico nel trasloco a Madrid ma è uscito dal pianeta Milan da vincitore e vittima sacrificale, forse lo è, forse no. Restano le menzogne dei vertici societari. Resta un Milan che non pensa più in grande come un tempo ma è diventata (è ritornata) una società come tante altre. Una società che vende i propri pezzi pregiati anche nel pieno della loro maturità tecnico-fisica-mentale. Resta una società che ha speso per aver un ritorno immediato sul piano dell’immagine negli anni passati garantendosi giocatori “finiti” e dal grande passato (!) ma non ha investito sul vivaio che non da un ritorno economico e pubblicitario rapido e certo. Eppure il Milan che Berlusconi acquisì alla metà degli anni ottanta sull’orlo del fallimento era un Milan povero ma con tanti campioni in erba provenienti dal settore giovanile, non solo degli olandesi, come Baresi, Maldini, Costacurta F. Galli, Evani. Per certi versi quello dei nostri giorni è un Milan depauperato di certi “valori”.
Alcuni ci hanno spiegato che Kakà sino alla fine di maggio pareva potesse rimanere grazie all’ingresso in società dello sceicco Al Maktum operazione poi sfumata e con lui la possibilità di tenere Kakà. Problemi di bilancio ci hanno spiegato e sono innegabili ma come si può spiegare un Berlusconi tanto in difficoltà economica? Per una società importante il sacrificato non doveva essere il suo giocatore più rappresentativo, il più forte trequartista del pianeta e uno dei tre calciatori più forti al mondo. Il segnale che la crisi era profonda e forse irrimediabile con questo management ci era arrivata dal “no” di Gourcuff che, con una personalità sinora a noi sconosciuta, si era permesso di negarsi al secondo club più prestigioso al mondo presentatosi da lui con neo tecnico in pectore unitamente al presidente vicario. Forse Gourcuff sapeva molte più cose di quante ne abbiamo sapute sinora noi. Il futuro del nostro Milan pare in mano ad una società confusa e priva di un vero progetto immediato e futuribile. Ed ora la panchina passa a Leonardo che dovrà rilanciare o almeno tenere a galla una società in palese difficoltà. Quel Leonardo che pareva la garanzia di mantenimento e rilancio dei brasiliani di casa nostra e invece c’è già un Pato, anch’esso potato a Milano dal mancino ex trequartista brasiliano proprio come Kakà, a ventilare la minaccia di un addio proprio come Pirlo. Un lavoro complicatissimo per Leo che non si troverà una squadra, una rosa, un ambiente come accadde ai Sacchi, ai Capello e persino i Zaccheroni. E c’è già un Dzeko, giocatore non superiore al miglior Borriello (ve lo garantisco!), in pole position per sbarcare a Milanello e lenire le sofferenze per l’addio del bambino d’oro. Ma di Kakà ce n’è uno solo. Dzeko, una prima punta mancina rapida e verticale, pur nella sua modestia tecnica per questo Milan non sarà una facile conquista dato che il calcio tedesco è certamente più ricco di quello italiano. Difficile decifrare il futuro con questa dirigenza o forse è fin troppo facile capirlo ma difficile da accettarlo ed ammetterlo. Buon calcio a tutti comunque sia. |di Antonio Fracasso - Fonte: www.ilveromilanista.it| - articolo letto 151 volte