Ledesma deve Giocare. "Pablo, vinci le paure, in campo"
Di essere, è stato sfortunato.
In un solo anno, il primo anno al Catania, Pablo Ledesma ha passato (ad una ad una) tutte le sciagure peggiori che possono falcidiare la carriera di un giocatore.
E'iniziato tutto già nell'estate del suo arrivo, con gli ultimi refoli della pubalgia che l'aveva costretto ad un lungo periodo di inattività nel suo ultimo anno agonistico tra le fila argentine del Boca Juniors. Recuperato in campo, aveva ammaliato, con tecnica e giochi di prestigio, gli occhi dei tifosi rossazzurri che vedevano in lui, partita dopo partita, il tassello immancabile del centrocampo; il giocatore in grado, da solo, di garantire equilibrio all'intero reparto , sia quando si trattasse di chiudere le offensive avversarie che al momento di riproporre la manovra in avanti.
Tanto più Ledesma entrava nei meccanismi del Catania quanto più il Catania riusciva ad esprimere meglio, e con più efficacia, il proprio gioco. Una corrispettività apparsa chiara a chiunque osservasse l'evolversi del campionato, e delle prestazioni del giocatore.
Una volta trovata la propria esatta collocazione all'interno dei meccanismi di gioco, Ledesma si fa male. E' la sesta gara di campionato, il Catania con la rete di Paolucci a Reggio Calabria è primo in classifica quando, a centrocampo, un contrasto più acceso degli altri costa a Ledesma la frattura del terzo e del quarto metacarpo della mano destra. Un giocatore avversario gli calpesta la mano.
Eppure, contro la Reggina, Ledesma resta in campo con solo una fasciatura approssimativa. Al rientro a Catania l'operazione, le viti per ridurre la frattura, la suggestione del ragazzo che non se la sente di scendere in campo con una fasciatura semirigida , l'unica consentita dai regolamenti della FIGC. Rientra dopo 15 giorni quando, senza voler più attendere oltre, lo staff gli spiega che c'è bisogno di lui in campo, punto, perciò giocherà. E gioca, dopo uno spezzone di gara contro l'Udinese, all'Olimpico contro la Lazio resta in campo per tutti e 90', con la fasciatura semirigida.
Vince la paura, torna a far la differenza in campo . Si ricolloca alla perfezione come terzo, esterno destro, di centrocampo, quando poi, qualcosa di strano inizia ad insospettire i tifosi. Salta la 17^ giornata, contro il Lecce, quasi una premonizione, nella successiva, contro il Napoli, parte dalla panchina finché, alla 19^, contro il Bologna, esce anzitempo dal campo . E' il ritorno della pubalgia , un infortunio tra i più fastidiosi e duri da sconfiggere, fisicamente e psicologicamente, per un calciatore. Passa un mese prima di rivederlo in campo, a Verona, contro il Chievo . La sua prima rete in rossazzurro, che arriva proprio in quella gara, su rigore, è un'iniezione di fiducia che contribuisce in maniera determinante al suo pieno recupero.
Rientra, e come sempre non esce più dal campo. Protagonista assoluto nel derby contro il Palermo, dove segna anche la sua prima rete su azione, l'idillio dura appena 8 partite. Passano 14' della gara contro la Sampdoria , un movimento anomalo del ginocchio in un'azione di ripiegamento e la barella è già in campo. Cos'è successo è chiaro subito, a tutti, la diagnosi medica segue il giorno seguente: “rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro” . Intervento immediato, campionato finito e sei mesi di prognosi prima del pieno recupero.
Era il 21 Aprile 2009 .. Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre.
Sei mesi, eccoci arrivati ai giorni nostri. L'intervento, perfettamente riuscito, non ha portato ad alcuna ricaduta; il giocatore è perfettamente recuperato ma, se il recupero fisico è totale è quello psicologico a non essere ancora ultimato; ne viene fuori il 60,70% del giocatore che Catania ha imparato a conoscere, ed apprezzare.
Blocco psicologico, lo dice l'allenatore, lo dice il presidente, lo dice il direttore generale. Comincia a ritrovare i 90' giocando tra le fila della primavera ma, accuratamente, evita ogni contrasto, ogni minimo rischio. La paura del “calcione”, quella di cadere e rialzarsi nuovamente dopo 6 mesi; un terrore comprensibile ma non ulteriormente tollerabile.
Lo dico con un pizzico di egoismo , ma con tutto il resto di ragion veduta : Un giocatore professionista, se vuol continuare a praticare professionalmente questo mestiere deve e può farlo solo in campo; un centrocampista come Ledesma, può continuare a definirsi tale solo prendendo a due mani il coraggio e gettandosi sotto i tacchetti d'un avversario, allora rialzarsi da terra sarà come rinascere ; finché ciò non avvenga, a voler esser cattivi, il soprannome “oveja” (pecora) che gli han dato i compagni in virtù dei suoi capelli, avrà anche un significato in più, poco onorevole.
<< Pablo, scuotiti. Sai quanto puoi fare per questa squadra, quanto puoi aiutare i tuoi compagni ad uscire da questo periodo un po' difficile. Indossa la maglia numero 8 , gettati nella mischia ed abbi fiducia prima di tutto in te stesso. Pensa che tutto il lavoro di riabilitazione fatto in questo sei mesi non è a rischio se giochi e prendi una botta, ma se non giochi perché non giocando lo rendi vano, come gli sforzi tuoi, di chi ti è stato sempre vicino, di chi ha sempre creduto in te.
<< E' tutto pronto, manchi solo tu. Oggi sarà come domani, e domani dopodomani come oggi. A 26 anni non puoi permettere che gli incubi schiaccino i tuoi sogni. Sei un calciatore Pablo, il tuo posto non è in un'infermeria ma in mezzo al campo, ed il primo calcione che prenderai da un avversario sarà un calcione a tutte le tue paure: Ti rialzerai, tutto sarà a posto, e magari anziché ritornaglielo gli dirai grazie.
<|di Marco Di Mauro - Fonte: www.mondocatania.com| - articolo letto 175 volte