Catania, la Guerra di Nino. Riflessioni sulle parole del Presidente
Pesanti, ma più che tali inquietanti per la loro effettiva fondatezza , sono le parole del presidente Pulvirenti al termine della gara vinta contro il Cagliari. Non volendo entrare nel merito delle ragioni che hanno portato il pubblico a contestare la società, val la pena fermarsi sulle ragioni esposte dal massimo dirigente etneo circa la necessità di restare uniti per far muro contro un sistema dipinto con fattezze ostili.
“Aspettavamo questa vittoria da tanto tempo, il goal della vittoria è stata una liberazione. Non è possibile contestare la squadra all'80°, così è l'inizio della fine, dobbiamo sempre restare uniti. Siamo soli, qui si dimenticano di fare il silenzio per le vittime di Messina, rendiamoci conto, siamo soli.
Il riferimento è alla “dimenticanza” commessa dalla FIGC e dalla Lega Calcio, nonché dal CONI, nel dar preciso mandato agli arbitri su tutti i campi di calcio professionistici di far osservare un minuto di silenzio in memoria delle vittime dell'alluvione di Messina. Manchevolezza ammessa candidamente dal Presidente della Federcalcio Abete , che pur prendendosene la colpa non ha inteso rimediare in alcuna maniera, né rimettendo il proprio mandato (anche solo in gesto simbolico) né imponendo il minuto di raccoglimento alla ripresa dei campionati di serie A. Il Catania, in tale occasione, si è schierato apertamente contro i vertici del Palazzo, organizzando persino un'amichevole benefica con l'ACR Messina.
“C'erano 11.000 persone sugli spalti, segno di appagamento verso questa squadra. Lo denuncio davanti a tutti, noi continueremo per la nostra strada ma così non si va da nessuna parte. Mi dispiace che la gente non si accorga che questa squadra valga molto più di quanto dica la classifica. C'è gente in malafede che non aspetta altro per criticare società ed allenatore. Così non si va da nessuna parte.
La sensazione che il massimo dirigente esprime con queste parole è un vero e proprio appello alla gente di Catania nel non lasciar sola questa società perché di tale pericolo, evidentemente, se ne ha sentore. Negli anni precedenti, soprattutto nel primo di serie A, si è avuto monito di ciò che possa accadere al Catania se privato del sostegno del proprio pubblico , dato che sui riguardi del Palazzo non ha potuto né mai voluto contare.
“Il mio appello è sempre quello di stare uniti, rimaniamo insieme. Non ci vedono, neanche ci vedono, si sono dimenticati di una tragedia, come si fa a non capire che siamo soli? Se anche tra di noi iniziamo a litigare, dove dobbiamo andare? E' quello che vogliono questi signori, sfasciare l'ambiente, dobbiamo restare uniti, e allora siamo una forza, ci salviamo e facciamo sempre bene.
Una situazione simile a quella prospettata sarebbe realmente l'inizio della fine, un attacco combinato che toglierebbe forze, morali , non solo alla società ma anche alla squadra. Della considerazione pressoché nulla che la Federazione nutre nei confronti del Catania si ha nota da tempi immemorabili, fin dal 1993 la piazza rossazzurra è sempre stata scomoda da tollerare per gli organi di governo calcistici, ancor più dopo il caso Martinelli fino a quel 2 Febbraio, quando divenne motivo di vergogna tanto da indurre, nemmeno tanto velatamente, il tentativo di cacciarla fuori dalla serie A in maniera ovvio, “politicamente corretta”, facendo appello alla responsabilità oggettiva che mesi dopo la Federazione stesse propose di rivedere.
La ragione per la quale la Nazionale azzurra va “unn'è gghiè” e schifa solo Catania è proprio dovuta alla ferma intenzione della FIGC al non voler legare né accostare il nome della Nazionale agli eventi occorsi a Catania, e con i quali buona parte dell'opinione pubblica nazionale e mondiale, continua ancora ad identificare la città etnea. Dal 13 Febbraio 2002, data di Italia - Usa giocata al Massimino, la nazionale ha toccato tutti i campi delle attuali partecipanti alla serie A, andando addirittura 4 volte a Palermo e Milano, 3 a Genova, 2 a Bari, 2 volte a Firenze, 2 volte a Napoli (riabilitata dopo il tifo pro-Maradona in Italia - Argentina del mondiale 1990), 2 volte a Parma (dove ha preso fischi ed insulti); è riuscita persino a toccare mete come Livorno (apertamente ostile alla bandiera, sol perché Donadoni, allora commissario tecnico, aveva allenato la squadra locale), Modena, Padova, Messina, Ancona, Pisa, Reggio Calabria, Pescara, Trieste, addirittura Campobasso . Gli unici campi che mancano all'appello, in A, sono quelli di Verona e Catania.
“Ora vi saluto. Sabato andiamo a San Siro per fare risultato perché abbiamo la possibilità di andare a San Siro a fare risultato, e non sono pazzo.
Senza repliche. |di Marco Di Mauro - Fonte: www.mondocatania.com| - articolo letto 111 volte