In un ambiente calcistico sempre più sinonimo di business, caratterizzato dalla scarsa memoria storica, dall’assoluta precedenza data all’auditel (che consente anche ai protagonisti di Calciopoli di tornare a ritagliarsi ampio spazio tra i media), dalla scomparsa delle bandiere e dallo scarso rispetto nei confronti delle tifoserie organizzate, sempre più soffocate dal caro biglietti, dall’imposizione delle pay – tv e dalle norme repressive, sabato ho trovato numerosi elementi per ritenermi orgoglioso di questa Sampdoria e, come ogni giorno da quando sono nato, di essere un tifoso doriano. Andiamo con ordine.
Arrivo allo stadio e ammiro nei distinti uno striscione tanto ironico, quando efficace: “Benvenuti al Ferraris dove abbiamo vinto solo noi”. Uno slogan più che doveroso per riportare con i piedi per terra coloro che fanno ricorso alla storia e alla geografia soltanto come risulta più comodo. Dal 1946, data di nascita della Sampdoria, Genova in Italia e in Europa è stata colorata di blucerchiato, ha vinto ed è tornata alla ribalta grazie ai successi doriani. Massimo rispetto per la storia di chiunque, purchè si faccia altrettanto dall’altra parte, perché se gli unici discorsi anti sampdoriani fanno riferimento alla maglia da ciclisti e all’uso della sopraelevata per giocare in trasferta, si rischia di diventare patetici, o puntare alla vittoria della prossima edizione del programma “La Sai L’Ultima…”.
A proposito di stadio… Riccardo Garrone ha rilasciato dichiarazioni in merito al vitale ruolo di un nuovo impianto per il presente e soprattutto il futuro della Sampdoria. Da anni il nostro Presidente sta lottando, praticamente da solo, contro tutto e tutti per rompere il muro di silenzio e indifferenza della città, sempre pronta a mugugnare quando si resta indietro rispetto al resto d’Italia per opportunità lavorative, edilizie, sociali, culturali e di svago, ma sempre dominata da una mentalità arretrata, chiusa e contraria alle innovazioni. Anche gran parte di Noi Sampdoriani è attaccatissima al “Luigi Ferraris”, sia perché location dei successi della nostra squadra del cuore, sia in quanto rappresenta il classico esempio di stadio inglese, capace di offrire al pubblico un’ottima visione e la possibilità di incidere, dal punto di vista vocale, sui match.
Tutto ciò passa però in secondo piano dinanzi alle serie problematiche dell’attuale stadio, vittima di una posizione che non permette grandi passi in avanti per seguire il passo della normativa Uefa e offrire nuove entrate. Il futuro delle squadre di calcio è legato in maniera sempre più importante alla costruzione di una cittadella dello sport, nella quale lo stadio sia abbinato ad altri impianti sportivi, strutture di ristorazione, accoglienza e divertimento, qualunque sia la location. Il nostro Presidente è stato chiarissimo: il nuovo stadio va costruito, da soli o in compagnia, in ballo c’è il futuro del calcio genovese, noi non abbiamo la presunzione e la testardaggine di decidere a tavolino il destino della nostra amata.
Torno un momento indietro di una settimana. Anch’io ero presente nel settore ospiti dell’Olimpico di Roma e mi ha positivamente sorpreso la decisione del Presidente di venire in mezzo a noi per esprimere la propria presa di posizione rispetto ai recenti torti arbitrali subiti e manifestare i propri apprezzamenti per il nostro tifo civile, costante, intenso. Avrà anche comprato la Sampdoria per senso di responsabilità, ma, con il passare degli anni, si sta sempre più appassionando, sta conoscendo, nel bene e nel male, l’ambiente calcistico del quale era un neofita, sta lottando per il bene della nostra società, si sta divertendo con noi e sta cercando di gettare le basi per un futuro ambizioso e redditizio.
Passando alle tematiche esclusivamente tecnico – tattiche, da molto tempo non ammiravo una Sampdoria del genere. Spumeggiante, scintillante, sfavillante, straripante, devastante, incantevole, è difficile trovare l’aggettivo più adatto per definirla. Nessuno di noi pensa al sogno Scudetto, ma, se continuiamo di questo passo, niente ci vieta di giocarcela fino in fondo per un piazzamento europeo, Champions o Europa League che sia. Anche due anni fa ci eravamo divertiti, è giusto ammetterlo: con Mazzarri in panchina, Palombo fece il salto di qualità, Maggio imperversava sulla destra, Franceschini e Sammarco erano insostituibili, Pieri aveva fatto ricredere i suoi detrattori, Accardi e Campagnaro erano muri insuperabili nelle retrovie, Cassano tornato ad incantare, Bellucci mille polmoni che dimostrava dieci anni in meno. L’anno scorso il buio o quasi, ma con una finale di Coppa Italia persa al quattordicesimo rigore e un’infinità di infortuni ai giocatori cardine. A tutti vanno riconosciuti meriti e colpe.
Sabato tre cose in campo mi hanno particolarmente fatto riflettere. Innanzitutto Andrea Poli. Chiunque si accorge di avere dinanzi un ragazzo con la stoffa del campione: personalità, visione di gioco, doti balistiche, caparbietà, dinamismo, senso del sacrificio, la testa sulle spalle. Chissà se si fosse chiamato Polinho, come le big nostrane ed europee si sarebbero già date battaglia a suon di decine e decine di milioni di euro, e, invece, preferiscono scandagliare i mercati più disparati, ignorando i campioncini italiani della porta accanto. La Sampdoria ha investito su Poli, ci ha creduto quando quasi nessuno lo conosceva e adesso si gode i benefici.
Poi Giampaolo Pazzini. Il nostro bomber, reduce dal terribile scontro con Muslera e dalla conseguente frattura del setto nasale, ha fatto di tutto pur di scendere in campo, aiutare i propri compagni a ritornare alla vittoria e proseguire in un’annata finora fantastica, mettendo tutto il resto in secondo piano, il dolore, il timore di complicazioni, gli imprevisti del caso. Alla fine ha avuto ragione lui: la sua immensa forza di volontà ha fatto la differenza, il naso non ha creato problemi, lui ha giocato, ha segnato e fatto segnare. Standing – ovation. Infine Antonio Cassano. Recentemente si era visto il genio barese un po’ sotto tono, forse demoralizzato per l’esclusione dal giro della Nazionale. Dopo un paio di prestazioni “normali”, ecco ritornare Fantantonio ad indossare l’abito da sera, a ripagare il prezzo del biglietto con slalom da sciatore, assist al bacio e numeri da fenomeno.
In tale contesto ci vorrebbe quasi voglia di contattare i programmi televisivi dedicati alla scomparse: i gufi, i detrattori, i contestatori prevenuti, dove saranno finiti? Che fine hanno fatto coloro che ritenevano Del Neri un tecnico non all’altezza della Sampdoria, Beppe Marotta un dirigente soltanto abile a pescare gli scarti altrui sul mercato, giudicavano la nostra difesa come un’autentica gruviera, coloro che erano pronti a battezzare il Presidente Riccardo Garrone come l’omino con il braccino corto, Antonio Cassano un disperato caso psicologico, e a pronosticare un’annata di depressioni interne per la tifoseria blucerchiata, destinata ad un costante processo di disaffezionamento e contestazione?
Tante società pagherebbero oro per vantare un Tecnico capace di far giocare a memoria la squadra in così poche giornate, un Dirigente capace di pescare il meglio sul mercato in termini di qualità – prezzo e un Presidente che non fa mai il passo più lungo della gamba, consapevole dell’importanza di lasciar lavorare i suoi collaboratori in piena tranquillità e autonomia e di rispettare il rigore di bilancio, contrariamente a numerosi suoi colleghi, abituati a costruire squadre a suon di montagne di debiti. Adesso tutti salgono sul carro dei vincitori, sempre pronti a riemergere non appena bucheremo una gomma, o sbaglieremo strada, ne siamo certi. |di Diego Anelli - Fonte: www.sampdorianews.net| - articolo letto 200 volte