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2009-12-28

Corvino: ''Il mio colpo migliore? Il prossimo, ad Est...''


Pantaleo Corvino si confessa in una lunga esclusiva con L'Unità. Vi riportiamo i passaggi più significativi:

La sua carriera da calciatore.

Giocavo mediano, incontrista: mi dicevano che sarei diventato un bravo calciatore. Finì tutto a 15 anni. Mio padre si ammalò e non potè più lavorare. Mia madre doveva badarlo e si mise a fare la bidella. Eravamo tre figli, io e due sorelle: toccava a me. Mio padre era arruolato in aeronautica, questo pesò quando feci il concorso con altri 25mila candidati e tra loro anche laureati. C’erano 1.500 posti, uno fu mio: a 15 anni, il più giovane in assoluto di sempre.

Cosa perse?

Lasciai lì, mutilati, due sogni: il calcio e la scuola. Ma la carriera militare era prestigiosa, dopo il corso fui di stanza a Roma, al centro radar. Mi iscrissi ai corsi serali per recuperare la scuola, tre anni in uno e lì sono fermo: alla terza ragioneria. Fui trasferito a Otranto, mi riavvicinarono a casa, ero andato via troppo presto per non voler tornare. E poi c’era una ragazza…

Chi era?

Rina, mia moglie. La donna di tutta la vita, conosciuta che aveva 15 anni. Noi militari non potevamo sposarci prima di 25 anni ma a quell’età già aspettavamo la prima figlia e volevamo convivere. Fuggì da casa…

Pian piano si riprese la vita…

Collaboravo con le società di calcio nei dilettanti. Mi chiamò il Castrano, in serie C. Dovevo scegliere e diventai anche il più giovane pensionato dell’Aeronautica a 34 anni. Dovevo dirlo a mio padre, sulla sedia a rotelle per la malattia di 20 anni prima.

Che parole trovò?

Quando mi vedeva vestito da aviatore gli batteva forte il cuore. Gli dissi: senti, metti il freno alla sedia a rotelle…Per un mese non mi rivolse più la parola poi capì: ritrovavo la passione più grande. Fu un rischio. A Castrano mi fecero un solo anno di contratto e avevo una famiglia da mantenere, moglie e tre figli. La più grande è Giorgia, come nella canzone di Ray Charles. Poi vennero Lucia e Romualdo.

(...)

E in città che fa?

Non faccio vita mondana. Al cinema sono andato due volte in 40 anni. Andammo a vedere Il padrino e ci siamo tornati per vedere il Titanici (lo dice così, come Joveticci, Vucinicci…). Le amiche convinsero Rina. Ero stanco e mi addormentai, poi mi svegliai e la fine mi piacque, peccato aver perso l’inizio.

A Firenze l’ammirano di più per aver preso Jovetic o perché ha rifilato Melo alla Juve per 25 milioni?

Melo è un gran bel mediano incontrista, non un regista. Prandelli aveva Liverani in regia e voleva cambiare mettendo un argine davanti la difesa. Scovai Melo nell’Almeria, era perfetto: nel mezzo dominava fisicamente. Nella Juve il regista deve farlo Diego, se i giornalisti pretendono che lo faccia Melo, ci marciano.

Ci vorrebbe Corvino alla Juventus…

Io resto qua. Ho avuto 5 presidenti in 30 anni di carriera. Volevo che si affezionassero a me, alla società, che non scappassero oberati dai debiti: i presidente sono la cosa più importante del calcio, dai dilettanti alla serie A. Sono arrivato a Firenze che si erano salvati all’ultima giornata dopo aver speso 60 milioni: un altro anno così e i Della Valle sarebbero scappati.

Cosa manca ai club italiani per tornare ai vertici in Europa?

Non siamo da Champions. Abbiamo debiti, stadi vecchi come l’arca di Noè, anzi peggio: quella reggeva al diluvio, mentre in Italia se nevica gli stadi sono impraticabili. Abbiamo trascurato i vivai, i giovani stanno in panchina, abbiamo rincorso i campioni e li abbiamo persi, stritolati un un calcio scadente e fanatico

Il giocatore più forte che ha scoperto?

Il prossimo, gioca ad Est: se faccio il nome lo pago dieci volte tanto.

Lei e Prandelli.

Per me l’allenatore è come una fidanzata, devi conoscerlo per fare strada insieme. Quando mi chiamarono i Della Valle mi dissero che avevano già scelto il tecnico. Era Guidolin. Ci avevo preso solo un caffè. Potevo cambiare ma dovevo comunicarlo a Guidolin: una telefonata difficile, fu turbato ma reagì da signore. Poi in dieci minuti “feci” Prandelli. Temevo chiedesse molto, non lo fece, si mise in discussione. Siamo più simili di quanto si dica, mi creda. Lavoriamo dalla mattina alla sera, no abbiamo tempo per i complimenti reciproci.

Servirebbe lo Scudetto, a lei e a Prandelli, alla città e a questa storia.

Ma io sono sereno, i sogni li ho inseguiti e li ho ritrovati. Lavorare qui è come saldare l’ultimo conto, perché c’è ancora una cosa che non ho detto: mio padre era un tifoso della Fiorentina.
|Redazione Viola News - Fonte: www.violanews.com| - articolo letto 181 volte


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