San Vincenzone è finalmente pronto a rifare miracoli. A ributtarla dentro quando servirà, visto che la Juve - da quando non c'è lui - sembra aver smarrito in parte la via della rete. Quattro mesi dopo l'operazione al menisco (che avrebbe dovuto tenerlo fuori gioco 40 giorni...) Iaquinta è pronto a rientrare, ripartendo proprio dalla Fiorentina che è stata l'ultima squadra contro la quale aveva giocato prima dello stop forzato. "E' stata dura, mi sembrava di impazzire, ma adsso sono pronto: riesco di nuovo a fare tutto. Non mi so spiegare il motivo della nostra crisi. Ferrara aveva poca esperienza e l'ha pagata, Zac ne ha invece tanta. Dobbiamo puntare al 4° posto, pensare ad un anno senza Champions è da incubo".
Di seguito l'intera intervista rilasciata. Bentornato Iaquinta, l’ultima volta è stato contro la Fiorentina il 17 ottobre, la Juventus stava andando molto bene, la stagione era piena di speranze e lei era fra i migliori. Vogliamo ricostruire cosa le è successo nei successivi quattro mesi?
«C’è stato l’intervento al menisco esterno. Ma prorprio durante l’operazione i medici si sono resi conto che c’erano altri problemi al ginocchio, soprattutto alla cartilagine. Ero in anestesia locale e non ho capito subito, dopo i medici mi hanno spiegato che purtroppo i tempi si allungavano. Dovevano essere 40 giorni e invece sono diventati quattro mesi...».
Quindi era consapevole fin dall’inizio della rieducazione che sarebbe stata una cosa lunga.
«Sì, uscito dalla sala operatoria sapevo che non me la sarei cavata con i 40 giorni previsti, ma i dottori hanno detto che era meglio fare così e sono d’accordo. Altrimenti avrei rischiato un altro intervento, magari tre settimane dopo il primo».
Il ginocchio è guarito?
«Sì, ogni tanto sento qualche dolorino, ma quello mi hanno detto che è normale».
Quanto è stata dura stare fuori in questi mesi?
«E’ stata durissima, a volte da impazzire. Soprattutto quando vedevo la Juventus che andava male e io non potevo dare una mano ai compagni. Un periodo brutto: anche perché lo stop più lungo della mia carriera era stato di un mese».
In questi casi a cosa ci si aggrappa per non buttarsi troppo giù?
«Lavoro, lavoro, lavoro. Ho lavorato tantissimo: per quasi un mese e mezzo ho sempre fatto doppio allenamento. Per un primo periodo, facevo rieducazione al mattino e al pomeriggio all’Isokinetik di Torino. Poi ho iniziato a venire a Vinovo al mattino e andare all’Isokinetik al pomeriggio. Tanta fatica, ma da questo infortunio se ne esce così. Devo ringraziare tutto lo staff medico e atletico della Juventus che mi ha aiutato tantissimo e Fabrizio Tencone dell’Isokinetik ».
Ora è finito l’incubo?
«Riesco a calciare, scattare, riesco a fare tutto. Finalmente mi sento più leggero anche psicologicamente ».
Quand’è stato il momento più nero?
«Due mesi fa la gamba ha ceduto durante uno scatto. Pensavo di essere quasi pronto e mi stavo allenando a Vinovo, ma è bastato uno scatto per sentire la gamba vuota, che cedeva. In quel momento mi sono sentito male, ma d’altra parte avendo perso il 70% del muscolo, i tempi di recupero non potevano essere più brevi di quelli previsti: mi ero illuso... Dopo quell’episodio però ho chiesto al club di essere seguito da una persona specifica e infatti con la società abbiamo scelto l’Isokinetik».
C’è una persona che ringrazia più di altre per il suo aiuto in questi mesi?
«La mia famiglia. Mio papà che è ancora più carico di me e mia moglie, che è doppiamente felice: perché sono guarito e perché... finalmente torno a fare un po’ di ritiri. Non ne poteva più di avermi per casa: anche perché ero un po’ nervoso».
Che effetto le ha fatto vedere la Juve attraversare la più grande crisi degli ultimi trent’anni?
«Brutto. Bruttissimo. Per fortuna è arrivato Zaccheroni e abbiamo iniziato a vincere, a parte l’ultima con il Palermo».
E’ andato allo stadio in questo periodo?
«Sì ed è davvero dura. Vorresti essere in campo e se la squadra perde è pure peggio. Anche in tv è un infermo: io sudo! Devo cambiare la maglietta a fine partita, manco avessi giocato! Mamma mia com’è brutto rimanere fuori».
Che idea si è fatto della crisi, osservandola da fuori?
«Non so il motivo perché giocavamo così male, non eravamo compatti, non eravamo squadra per dirla con una parola. Non me lo so spiegare... Ma quello era il problema: non eravamo squadra».
Ferrara ha pagato per tutti o era l’unico responsabile?
«Secondo me c’entra anche lui, ma per lo più siamo stati noi a sbagliare. La colpa non va data solo a lui. Poi il primo a rimetterci è sempre il tecnico».
Come è rimasto con Ferrara?
L’ha sentito?
«Gli ho mandato un sms quando è andato via, anche perché mi dispiaceva molto. Per lui sono stati mesi faticosi perché, avendo poca esperienza, allenare subito una squadra come la Juventus è dura. Di sicuro gli servirà in futuro: mettiamo che lo chiami una provinciale, questi sei mesi sono stati una scuola molto efficace».
Amauri è uno dei suoi migliori amici: cosa gli sta succedendo?
«Gli attaccanti attraversano dei momenti così. Momenti nella quale la palla non entra, ultimamente si stava ritrovando, aveva segnato, poi si è fatto male...».
Ha parlato con lui? Ha provato a rincuorarlo?
«In realtà non molto, perché in questi mesi non ci sono state molte occasioni per vedersi, tra allenamenti suoi e rieducazione mia. Ma su Amauri bisogna sempre puntare: lui è uno che da sempre l’anima quando va in campo».
E’ stata troppo cattiva la critica con lui e, in generale, con la squadra in questo periodo di crisi?
«In realtà no, ci sta tutto. Perché quest’anno all’inizio c’erano ambizioni grandissime ed è andato tutto storto. E i tifosi della Juventus, si sa, si aspettano sempre molto dalla squadra. Una sola delle cose dette è falsa: che lo spogliatoio era spaccato. Questo spogliatoio è stato ed è molto unito».
Cos’ha portato Zac?
«Una grandissima esperienza, perché ha allenato tante grandi squadre. Capisce di calcio, lavora tantissimo sulla tattica, ci fa vedere molti video delle squadre avversarie».
Se la Juventus è di nuovo «una squadra», è per la tattica o è scattato qualcosa psicologicamente?
«Eravamo talmente giù che una reazione era inevitabile e il cambio di allenatore ha aiutato. Poi logicamente è servito molto anche il lavoro sul campo».
Pensa che questo sia sufficiente per arrivare quarti?
«Ci dobbiamo arrivare a tutti i costi, perché pensare alla Juve senza Champions League l’anno prossimo è un incubo».
E’ improponibile pensare al terzo posto?
«E’ difficile, ma sono convinto che possiamo farcela. Si deve riprendere a vincere con continuità. A partire da sabato a Firenze».
Lei ci sarà?
«Di sicuro vado in panchina, poi vedremo. Potrei entrare negli ultimi venti minuti. Non sarò ancora al centro per cento, ma spero di esserlo presto ».
L’ha stupita vedere la Roma volare con Ranieri?
«Sono contento per lui, da quando è arrivato la Roma ha fatto grandissime cose».
Qualcuno lo rimpiange all’interno dello spogliatoio?
«No, non se ne parla mai».
L’Europa League è una coppa stimolante?
«Sì, sperando di recuperare gli infortunati. Ma vincere qualcosa quest’anno sarebbe importante e noi a questa coppa ci teniamo moltissimo».
Infortuni, come se ne spiega il numero?
«Non so se siano questi campi o questo centro o l’umidità... Non credo, ma non ne so molto. Una situazione del genere non l’ho mai vissuta, con così tanti infortuni. Di sicuro ha inciso tanto la sf... ortuna ».
Un tema ricorrente nei mesi di crisi è stato: a questa squadra manca molto Iaquinta. Le ha fatto più piacere o rabbia?
«Mi ha fatto molto piacere. Forse lo dicevano perché io mi sono infortunato nel momento in cui andavamo bene. Ma sinceramente non credo che nel calcio moderno un giocatore possa condizionare l’andamento di una squadra».
Cosa pensa di Diego? Pure lui è finito nel mirino della critica.
«Si sta abituando al campionato italiano e non è facile, perché appena prende palla lo randellano subito, ma dimostrerà tutto il suo valore. Gli dico spesso: quando prendi palla devi essere già rivolto verso la porta, non spalle alla porta, perché le sue qualità sono il dribbling, il tiro, il passaggio decisivo e per esaltarle deve guardare la porta quando riceve palla».
Forse a Diego è mancato proprio Iaquinta, un attaccante che sa dare profondità al gioco.
«Sì, forse lui con me riusciva a trovare più spazio perché sono uno veloce e che può aprire le difese. L’abbiamo dimostrato con la Roma, forse la migliore partita che ha giocato la Juventus. E Diego».
Le sembra che Diego sia psicologicamente un po’ provato dal fatto di non riuscire a esprimersi ai suoi livelli?
«Beh, non è triste, ma si vede che è un po’ condizionato dal fatto di non onorare le attese. Ma attenzione, perché lui è un campione vero: non si può discutere. Io lo vedo anche in allenamento e vi assicuro che ha dei colpi impressionanti».
Si discute molto pure di Felipe Melo.
«Anche lui ha bisogno di tempo. Ha una grandissima personalità, forse è l’unico che ne ha così tanta. Dicono: sbaglia tanto, ma è proprio perché si fa dare sempre la palla e si prende sempre la responsabilità di giocarla. Anche lui è un grande. Forse paga che gli si chiedeva qualcosa che non era del tutto nelle sue caratteristiche: giocare davanti alla difesa è dura perché non puoi sbagliare mai».
Pensa che Zaccheroni possa essere confermato l’anno prossimo?
«Ha grandissima esperienza, ci sa fare, la squadra è migliorata con lui, ha ancora tempo per migliorarla ulteriormente.... Ma la decisione spetta alla società, non a me».
Qual è la sua idea a proposito della reazione dei tifosi durante il periodo di crisi?
«E’ stato un rapporto difficile quest’anno. I tifosi della Juventus pretendono sempre tanto e le cose non stanno andando bene, però chiedo loro di starci più vicino nei momenti difficili. Quando andava bene, tutti ci appoggiavano, quando le cose vanno male, ti lasciano a terra. Dico questo: stateci vicini e andiamo insieme in Champions. Ci serve molto il loro aiuto: giocare con i fischi non è facile e le sconfitte casalinghe sono in piccola parte legate al clima dell’Olimpico». |di Guido Vaciago - Fonte: www.nerosubiancoweb.com| - articolo letto 175 volte