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2010-03-05

Iaquinta pronto al rientro: "Stavo impazzendo"


San Vincenzone è finalmente pronto a rifare miracoli. A ributtarla dentro quando servirà, visto che la Juve - da quando non c'è lui - sembra aver smarrito in parte la via della rete. Quattro mesi dopo l'operazione al menisco (che avrebbe dovuto tenerlo fuori gioco 40 giorni...) Iaquinta è pronto a rientrare, ripartendo proprio dalla Fiorentina che è stata l'ultima squadra contro la quale aveva giocato prima dello stop forzato.
"E' stata dura, mi sembrava di impazzire, ma adsso sono pronto: riesco di nuovo a fare tutto. Non mi so spiegare il motivo della nostra crisi. Ferrara aveva poca esperienza e l'ha pagata, Zac ne ha invece tanta. Dobbiamo puntare al 4° posto, pensare ad un anno senza Champions è da incubo".
Di seguito l'intera intervista rilasciata. Bentornato Iaquinta, l’ultima volta è stato contro la Fiorentina il 17 ottobre, la Juventus stava andando molto bene, la stagione era piena di speranze e lei era fra i migliori. Vogliamo rico­struire cosa le è successo nei successivi quattro me­si?

«C’è stato l’intervento al meni­sco esterno. Ma prorprio du­rante l’operazione i medici si sono resi conto che c’erano al­tri problemi al ginocchio, so­prattutto alla cartilagine. Ero in anestesia locale e non ho ca­pito subito, dopo i medici mi hanno spiegato che purtroppo i tempi si allungavano. Dove­vano essere 40 giorni e invece sono diventati quattro mesi...».

Quindi era consapevole fin dall’inizio della rieducazio­ne che sarebbe stata una cosa lunga.

«Sì, uscito dalla sala operato­ria sapevo che non me la sarei cavata con i 40 giorni previsti, ma i dottori hanno detto che era meglio fare così e sono d’accordo. Altrimenti avrei ri­schiato un altro intervento, magari tre settimane dopo il primo».

Il ginocchio è guarito?

«Sì, ogni tanto sento qualche dolorino, ma quello mi hanno detto che è normale».

Quanto è stata dura stare fuori in questi mesi?

«E’ stata durissima, a volte da impazzire. Soprattutto quan­do vedevo la Juventus che an­dava male e io non potevo da­re una mano ai compagni. Un periodo brutto: anche perché lo stop più lungo della mia car­riera era stato di un mese».

In questi casi a cosa ci si ag­grappa per non buttarsi troppo giù?

«Lavoro, lavoro, lavoro. Ho la­vorato tantissimo: per quasi un mese e mezzo ho sempre fatto doppio allenamento. Per un primo periodo, facevo rie­ducazione al mattino e al po­meriggio all’Isokinetik di Tori­no. Poi ho iniziato a venire a Vinovo al mattino e andare al­l’Isokinetik al pomeriggio. Tanta fatica, ma da questo infortunio se ne esce così. De­vo ringraziare tutto lo staff medico e atletico della Juven­tus che mi ha aiutato tantissi­mo e Fabrizio Tencone dell’I­sokinetik ».

Ora è finito l’incubo?

«Riesco a calciare, scattare, rie­sco a fare tutto. Finalmente mi sento più leggero anche psico­logicamente ».



Quand’è stato il momento più nero?

«Due mesi fa la gamba ha ce­duto durante uno scatto. Pen­savo di essere quasi pronto e mi stavo allenando a Vinovo, ma è bastato uno scatto per sentire la gamba vuota, che ce­deva. In quel momento mi so­no sentito male, ma d’altra parte avendo perso il 70% del muscolo, i tempi di recupero non potevano essere più brevi di quelli previsti: mi ero illu­so... Dopo quell’episodio però ho chiesto al club di essere se­guito da una persona specifica e infatti con la società abbiamo scelto l’Isokinetik».

C’è una persona che ringra­zia più di altre per il suo aiuto in questi mesi?

«La mia famiglia. Mio papà che è ancora più carico di me e mia moglie, che è doppiamen­te felice: perché sono guarito e perché... finalmente torno a fa­re un po’ di ritiri. Non ne pote­va più di avermi per casa: an­che perché ero un po’ nervoso».

Che effetto le ha fatto vede­re la Juve attraversare la più grande crisi degli ulti­mi trent’anni?

«Brutto. Bruttissimo. Per for­tuna è arrivato Zaccheroni e abbiamo iniziato a vincere, a parte l’ultima con il Palermo».

E’ andato allo stadio in que­sto periodo?

«Sì ed è davvero dura. Vorresti essere in campo e se la squa­dra perde è pure peggio. An­che in tv è un infermo: io sudo! Devo cambiare la maglietta a fine partita, manco avessi gio­cato! Mamma mia com’è brut­to rimanere fuori».

Che idea si è fatto della cri­si, osservandola da fuori?

«Non so il motivo perché gioca­vamo così male, non eravamo compatti, non eravamo squa­dra per dirla con una parola. Non me lo so spiegare... Ma quello era il problema: non eravamo squadra».

Ferrara ha pagato per tutti o era l’unico responsabile?

«Secondo me c’entra anche lui, ma per lo più siamo stati noi a sbagliare. La colpa non va da­ta solo a lui. Poi il primo a ri­metterci è sempre il tecnico».

Come è rimasto con Ferra­ra? L’ha sentito?

«Gli ho mandato un sms quan­do è andato via, anche perché mi dispiaceva molto. Per lui sono stati mesi faticosi perché, avendo poca esperienza, alle­nare subito una squadra come la Juventus è dura. Di sicuro gli servirà in futuro: mettiamo che lo chiami una provinciale, questi sei mesi sono stati una scuola molto efficace».

Amauri è uno dei suoi mi­gliori amici: cosa gli sta suc­cedendo?

«Gli attaccanti attraversano dei momenti così. Momenti nella quale la palla non entra, ultimamente si stava ritro­vando, aveva segnato, poi si è fatto male...».

Ha parlato con lui? Ha pro­vato a rincuorarlo?

«In realtà non molto, perché in questi mesi non ci sono state molte occasioni per vedersi, tra allenamenti suoi e rieduca­zione mia. Ma su Amauri biso­gna sempre puntare: lui è uno che da sempre l’anima quando va in campo».

E’ stata troppo cattiva la critica con lui e, in genera­le, con la squadra in questo periodo di crisi?

«In realtà no, ci sta tutto. Per­ché quest’anno all’inizio c’era­no ambizioni grandissime ed è andato tutto storto. E i tifosi della Juventus, si sa, si aspet­tano sempre molto dalla squa­dra. Una sola delle cose dette è falsa: che lo spogliatoio era spaccato. Questo spogliatoio è stato ed è molto unito».

Cos’ha portato Zac?

«Una grandissima esperien­za, perché ha allenato tante grandi squadre. Capisce di calcio, lavora tantissimo sulla tattica, ci fa vedere molti vi­deo delle squadre avversarie».

Se la Juventus è di nuovo «una squadra», è per la tat­tica o è scattato qualcosa psicologicamente?

«Eravamo talmente giù che una reazione era inevitabile e il cambio di allenatore ha aiu­tato. Poi logicamente è servi­to molto anche il lavoro sul campo».

Pensa che questo sia suffi­ciente per arrivare quarti?

«Ci dobbiamo arrivare a tutti i costi, perché pensare alla Ju­ve senza Champions League l’anno prossimo è un incubo».

E’ improponibile pensare al terzo posto?

«E’ difficile, ma sono convinto che possiamo farcela. Si deve riprendere a vincere con con­tinuità. A partire da sabato a Firenze».

Lei ci sarà?

«Di sicuro vado in panchina, poi vedremo. Potrei entrare negli ultimi venti minuti. Non sarò ancora al centro per cen­to, ma spero di esserlo pre­sto ».

L’ha stupita vedere la Roma volare con Ranieri?

«Sono contento per lui, da quando è arrivato la Roma ha fatto grandissime cose».

Qualcuno lo rimpiange al­l’interno dello spogliatoio?

«No, non se ne parla mai».

L’Europa League è una cop­pa stimolante?

«Sì, sperando di recuperare gli infortunati. Ma vincere qualcosa quest’anno sarebbe importante e noi a questa cop­pa ci teniamo moltissimo».

Infortuni, come se ne spie­ga il numero?

«Non so se siano questi cam­pi o questo centro o l’umi­dità... Non credo, ma non ne so molto. Una situazione del genere non l’ho mai vissuta, con così tanti infortuni. Di si­curo ha inciso tanto la sf... or­tuna ».

Un tema ricorrente nei me­si di crisi è stato: a questa squadra manca molto Ia­quinta. Le ha fatto più pia­cere o rabbia?

«Mi ha fatto molto piacere. Forse lo dicevano perché io mi sono infortunato nel momen­to in cui andavamo bene. Ma sinceramente non credo che nel calcio moderno un giocato­re possa condizionare l’anda­mento di una squadra».

Cosa pensa di Diego? Pure lui è finito nel mirino della critica.

«Si sta abituando al campio­nato italiano e non è facile, perché appena prende palla lo randellano subito, ma di­mostrerà tutto il suo valore. Gli dico spesso: quando pren­di palla devi essere già rivol­to verso la porta, non spalle alla porta, perché le sue qua­lità sono il dribbling, il tiro, il passaggio decisivo e per esal­tarle deve guardare la porta quando riceve palla».

Forse a Diego è mancato proprio Iaquinta, un attac­cante che sa dare profon­dità al gioco.

«Sì, forse lui con me riusciva a trovare più spazio perché so­no uno veloce e che può apri­re le difese. L’abbiamo dimo­strato con la Roma, forse la migliore partita che ha gioca­to la Juventus. E Diego».

Le sembra che Diego sia psi­cologicamente un po’ prova­to dal fatto di non riuscire a esprimersi ai suoi livelli?

«Beh, non è triste, ma si vede che è un po’ condizionato dal fatto di non onorare le attese. Ma attenzione, perché lui è un campione vero: non si può discutere. Io lo vedo anche in allenamento e vi assicuro che ha dei colpi impressionanti».

Si discute molto pure di Fe­lipe Melo.

«Anche lui ha bisogno di tem­po. Ha una grandissima per­sonalità, forse è l’unico che ne ha così tanta. Dicono: sbaglia tanto, ma è proprio perché si fa dare sempre la palla e si prende sempre la responsabi­lità di giocarla. Anche lui è un grande. Forse paga che gli si chiedeva qualcosa che non era del tutto nelle sue caratte­ristiche: giocare davanti alla difesa è dura perché non puoi sbagliare mai».

Pensa che Zaccheroni pos­sa essere confermato l’anno prossimo?

«Ha grandissima esperienza, ci sa fare, la squadra è miglio­rata con lui, ha ancora tempo per migliorarla ulteriormen­te.... Ma la decisione spetta al­la società, non a me».

Qual è la sua idea a proposi­to della reazione dei tifosi durante il periodo di crisi?

«E’ stato un rapporto difficile quest’anno. I tifosi della Ju­ventus pretendono sempre tanto e le cose non stanno an­dando bene, però chiedo loro di starci più vicino nei mo­menti difficili. Quando anda­va bene, tutti ci appoggiava­no, quando le cose vanno ma­le, ti lasciano a terra. Dico questo: stateci vicini e andia­mo insieme in Champions. Ci serve molto il loro aiuto: gioca­re con i fischi non è facile e le sconfitte casalinghe sono in piccola parte legate al clima dell’Olimpico».
|di Guido Vaciago - Fonte: www.nerosubiancoweb.com| - articolo letto 175 volte


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