Parole, proclami, trambusti: caro Barça, a Madrid ci andiamo noi!
Aveva preparato questa partita come se fosse una vera e propria guerra il Barcellona: spot dedicati (almeno tre o forse di più), magliette celebrative, minacce (“Si pentiranno di aver intrapreso la carriera da calciatori”), titoloni sui giornali. Per sette giorni nella città catalana non si è parlato di altro che della remuntada, l’impresa di ribaltare il 3-1 subito a San Siro dall’Inter e approdare in finale di Champions League. Non potevano accettare i blaugrana l’idea di farsi eliminare dall’Inter dopo i risultati della fase a gironi, l’andata ‘doveva’ essere stato un errore, rimediabile, e hanno cercato in tutti i modi di convincersi, quasi come una sorta di training autogeno, di essere superiori ai nerazzurri, di poter segnare i due gol (senza subirne) che avrebbero significato finale. Ha detto giusto Mourinho in conferenza stampa parlando di “ossessione”, il Barcellona ha caricato di aspettative oltremodo questa partita, e i tifosi vi si sono immedesimati fino al midollo contribuendo come hanno potuto: magliette, insulti a Mourinho e squadra, cori fino a tarda notte sotto l’albergo italiano, scorta al pullman del Barcellona fino allo stadio, presidio dell’impianto spagnolo fin dal primo pomeriggio.
Solo che in campo ci vanno i giocatori, i 22 scelti dai due allenatori, e alla prova dei fatti, messe da parte tutte le parole con le quali non si sono mai vinte le partite, ha parlato solo la palla che rotola sul rettangolo verde, e quei fuochi d’artificio promessi, quella squadra di mostri che avrebbe dovuto far un sol boccone dell’Inter, non si è poi vista tanto. Anzi forse l’unica “profezia” della vigilia ad essersi avverata è stata quella di Thiago Motta, che aveva detto di stare attenti ai ‘tuffatori’ del Barcellona, e proprio lui è stato la vittima di questo “vizietto” degli spagnoli, rimediando una ingiustissima espulsione per una sceneggiata di Sergio Busquets, stramazzato al suolo dopo che il centrocampista dell’Inter gli ha appoggiato una mano sul volto, senza guardare, per proteggere la palla. Ma qui si è visto il vero carattere dell’Inter e la sagacia tattica di Mourinho: il gruppo non si disunito e non è crollato ma ha continuato a controllare la gara. Certo, si è dovuta limitare a difendere, ma il Barcellona non ha portato questi grandi pericoli dalle parti di Julio Cesar, e si è assistito a un vero e proprio assedio solo negli ultimi 15 minuti, per soffrire davvero solo negli ultimi 5, quando i padroni di casa hanno sfiorato il 2-0 della qualificazione.
E allora tutto è diventato più chiaro: era paura. Tutto il trambusto creato in questi giorni, le magliette, le minacce, gli spot, non erano tanto un modo per caricarsi quanto piuttosto una maniera per esorcizzare la paura, farsi coraggio, spaventare gli avversari. Che non sono cascati nella trappola e sul campo di gioco hanno fatto la loro partita, preparata perfettamente come va preparata una partita vinta 3-1 all’andata, ergendo un muro davanti a Julio Cesar (di cui Samuel è stato il vero pilastro) e stringendo i denti fino al novantesimo.
Bravissimo Mourinho, un capolavoro tattico il suo, sottolineato anche da Moratti, il quale può esultare doppiamente visto che aveva scelto il portoghese proprio per vivere questi momenti. Il tecnico portoghese aveva messo le mani avanti affermando che, comunque sarebbe andata, la squadra si sarebbe comunque ritrova con una nuova mentalità, senza più la paura della Champions. La squadra ha fatto di più, eliminando dopo il Chelsea anche i campioni del mondo del Barcellona.
E ora la finale, un’emozione che manca da 38 anni, molti tifosi dell’Inter di oggi non hanno mai vissuto un’emozione simile. Da gustare ora, lentamente, fino in fondo… Chiudete le valigie, si vola tutti a Madrid! |di Domenico Fabbricini - Fonte: www.fcinternews.it| - articolo letto 165 volte