Domenica la salvezza è diventata aritmetica ma i titoloni se li è guadagnati soprattutto la presa di posizione dei tifosi, al grido di “Meritiamo di più” e di cori contro la proprietà.
Sì, perché è stata una salvezza strana, almeno nelle atmosfere. Poi in realtà la salvezza, anche se non per la matematica, era venuta a Bergamo e quindi ormai il problema era stato risolto lì. Stavolta c’era la curiosità di vedere quale fosse l’umore popolare al risultato raggiunto. Il che viene consentito dalla misurazione della febbre allo stadio di casa: la febbre era molto bassa, ma era quello che si prevedeva, anche.
Contestazione non digerita dalla proprietà e anche squadra e tecnico hanno rimarcato come il risultato sia stato raggiunto: salvezza doveva essere e salvezza è arrivata.
Sì, l’obiettivo è stato raggiunto e questo spiega il malumore di chi non si è visto riconoscere il traguardo centrato. Sui sentimenti, bisogna consentire a chiunque di avere i propri, e quindi questo vale per la proprietà e vale per la squadra, che si è sentita un po’ sminuita. Però bisogna anche consentire alla curva e ai tifosi di nutrire i propri sentimenti: non c’è stato entusiasmo, innegabilmente, perché per tutto l’anno non c’è stato entusiasmo. Anche se ci sono stati momenti della stagione francamente esaltanti, come quando ci fu il filotto delle vittorie esterne a Firenze, Livorno e Genova, che in pratica poi fu la spina dorsale anche aritmetica di questa salvezza. Si va avanti, credo di poter rilevare, con una frattura sempre più vistosa tra la proprietà e il pubblico.
Adesso che il verdetto è arrivato lo possiamo dire: sono andate in B le tre squadre peggiori?
Forse l’Atalanta non era, come organico, così scadente. Però ha pagato l’avvicendamento furioso di allenatori, qualche cambio di direzione che alla fine non ha portato bene: la rimonta è arrivata tardivamente. Sì, credo che il cammino di queste tre squadre, al di là del loro valore presunto, alla fine sia stato quello delle tre peggiori.
La gara con il Catania non ha offerto molti spunti, soprattutto nel secondo tempo visto anche il risultato che arrivava da Napoli.
Era ovvio, non c’era nessuna controindicazione. Tanto che poi abbiamo capito ieri, di fronte a quel pareggio non dico concordato ma vicendevolmente accettato, perché per tutta la settimana si era parlato di un punto per salvarsi. Un punto, per la matematica, era proprio quello che non serviva, ma ormai eravamo talmente ‘mentalizzati’ sul fatto che sarebbe finita pari che poi è diventa una previsione azzeccata.
Ieri c’è stato anche l’esordio di Appiah. Un esordio tranquillo, come ci si poteva aspettare, lui ha cercato di fare le cose semplici spesso appoggiando il pallone al compagno più vicino. Però è stato bello rivederlo in campo.
Certo. Come vicenda umana è bella perché questo è un giocatore che torna in campo due anni dopo e dopo aver rischiato la pelle, non una frattura alla tibia: e quindi è bellissimo che un ragazzo di meno di trent’anni sia tornato a fare il suo lavoro. Quanto alla efficacia tecnica della prestazione, ci sarebbe voluta una partita per giudicarla: partita che non c’era più.
Domenica prossima si va a Cagliari e ad obiettivo raggiunto sarà forse l’occasione di vedere chi sinora ha giocato meno: magari Savio.
Però è un’altra partita ‘finta’, per cui sono valutazioni da prendere molto con le molle. Ecco, se Savio fosse premiato per la sua partecipazione agli allenamenti con novanta minuti, magari sarebbe un bel gesto.
Adesso con la salvezza in tasca, si può e si deve iniziare a programmare. E il primo pensiero va a Baraldi, ancora molto in bilico.
Credo che Baraldi sia più fuori che dentro. Credo che programmare sia una messinscena, uno slogan ad uso della propaganda diretta al popolo, che poi pochissimo se li beve, questi slogan. Si andranno a cercare giocatori svincolati, prestiti: insomma, il solito film. Il calcio non può più permettersi una programmazione, probabilmente, se non ad altissimo livello. Gli altri navigano a vista. E il fatto che vi sarà un’altra estate di sussurri e grida in fondo è fisiologico, non patologico. Tutte le estati molte squadre e molte società vivranno fra sussurri e grida. Perché il calcio è in vendita, chi se lo vuole accollare entrando in una nuova società è il benvenuto, altrimenti vanno avanti quelli che ci sono, però con sempre meno spinta. |di Cinzia Saccomanni - Fonte: www.zerocinquantuno.it| - articolo letto 123 volte