Una domenica segnata dalla follia. Istinti repressi, famelici, per scatenarsi altro non aspettavano che la prima crepa di quel sistema che li aveva sopiti, non spenti. Un qualcosa da addurre come giustificazione, legittimazione di comportamenti irrazionali che giustificazioni e legittimazioni non possono trovare, in alcunché. Nemmeno nella morte.
Davanti a simile pretestuoso avvenimento, strumentalizzazione del lutto, fatalità che ha portato alla morte di un innocente tifoso laziale, bloccare il campionato, per i vertici di Lega Calcio, Figc e Governo, sarebbe equivalso ad ammettere il proprio totale fallimento, ritornare nove mesi dopo ad una pubblica ammissione di carenza giurisdizionale, stato di emergenza e pericolo per la sicurezza pubblica. All’anarchia, scene che furono di Catania, e che oggi si ripetono a Bergamo e Roma.
Sintomo di un sistema schiavo dei suoi compromessi, e di quei supervisori che per l’ennesima volta si accorgono di simili macroscopiche carenze quando ormai è troppo tardi per rimediare.
Quando non ci si può fermare per commemorare un morto, sia un poliziotto od un tifoso, val la pena ragionare su che nome dare a quello che non è più calcio, né sport. Guerra.
Da una parte i potenti, ed i soldi delle Tv. Dall’altra parte i violenti, e la follia delle loro azioni.
In mezzo, contesi, campo di battaglia, stanno il calcio ed i suoi tifosi. Strumentalizzati e mercificati. Sbattuti, strizzati, defraudati, vilipesi e depauperati d’ogni valore civile e sportivo. Costretti a non fermarsi, se non per 10 minuti, dove neanche uno è di silenzio.
Serve adesso una prova di forza e coerenza, una risposta ferma agli atti di “guerra civile” aventi come scenari le città di Bergamo e Roma. Consapevoli che, se si continuerà a pianger solo sui morti si manderanno tanti altri vivi a morire|di Marco Di Mauro - Fonte: www.mondocatania.com|. - articolo letto 86 volte