Abbiamo già evidenziato come rifiutare il trasferimento al Catania non porta proprio bene. Ne è conferma il beffardo destino di Mariano Pavone, il cui errore dal dischetto di Domenica scorsa ha condannato il River alla B argentina. Questa strana legge del contrappasso sembra, però colpire anche molti di quelli che hanno svestito la casacca rossazzurra per cercar fortuna altrove. Vediamo come in questo capitolo 2.
Riprendiamo il capitolo aperto in precedenza. Rivolgiamo ancora il pensiero al passato e analizziamo alcuni episodi che hanno portato via dal Massimino giocatori stimati, idoli della piazza, giocatori che la dirigenza catanese era decisamente intenzionata a tenere. Si sa il calcio è anche sentimento e ambizione. Le complessità gestionali di un giocatore passano spesso dai suoi rapporti con i dirigenti, l’allenatore, il modulo di gioco, lo spogliatoio, se non addirittura con i tifosi. Sentimenti da un lato, ambizioni dall’altro. Sì, perchè, soldi e fama fanno gola a tutti in questa “versione 2.0” del calcio mercenario. E tra una chiamata di una squadra un po’ più blasonata e un si al Catania, è più facile optare per la prima. Ma non sempre conviene.
Sfogliare il libro dei ricordi è amaro, ma la storia insegna e, in quanto tale, va masticata e digerita. Quello che mettiamo in luce oggi è una rima già ascoltata. Maledizione o cabala, le storie finite male con il Catania non sono proseguite in modo migliore per ambiziosi e fuggiaschi. Per gradi, ripassiamo come.
Tradimenti
La storia rossazzurra annovera i nomi di alcuni giocatori a cui rinunciare è stato alquanto doloroso. Uomini simbolo di una tifoseria che raramente si affeziona al nome, preferendogli l’attaccamento alla maglia. Storie che, lette a ritroso, hanno rafforzato la consapevolezza che il bene primo è per la squadra.
Difficile però dimenticarsi di giocatori come Caserta e De Zerbi. Acclamati dalla piazza, hanno scelto volontariamente di troncare il filo che li legava a Catania. De Zerbi e Caserta, due di quelli che un giorno, per caso, vengono pescati nei dimenticatoi di piazze minori (non ce ne vogliano Igea Virtus ai tempi in C2 e, soprattutto, Arezzo, in B ancora per poco) dalle intuizioni di un amministratore delegato, il primo, e di un allenatore, il secondo (Marino). Approdano a Catania per giocarsi l’Olimpo della promozione ed il trampolino per la A e se ne vanno, presto, di soppiatto. Se per De Zerbi la tentazione del progetto Risorgimento Napoli è più allettante ed economicamente redditizia, per il secondo, il tradimento per la corte dei rosanero, per la bandiera europea, è un’autentica diserzione avendo iniziato la stagione, da capitano, a Parma, meritando la panchina dopo appena 15′ per manifesta insofferenza alla maglia. Le sirene di una carriera più facile e più danarosa si sono spente ben presto. Da desiderati a dimenticati. Caserta peregrina ancora, barcamenandosi ben lontano dall’Europa tanto agognata, De Zerbi ha scelto addirittura la Romania.
Attaccanti scaldapanchina A volte ci sono quelle storie di uomini, goleador di razza in cerca di successo e soprattutto minuti. Antenucci, Paolucci, Dica, Plasmati sono nomi recenti. Le loro sono storie rossazzurre diverse nell’evoluzione ma tutte accomunate da una costante presenza in panchina. Alcuni conquistano sul campo la maglia titolare, Paolucci e Plasmati; altri partono alla pari dei compagni in rosa per i successi passati, come “il rumeno”, che arrivato a Catania da leader della nazionale e della Steaua Bucarest, ha perso tutto vendendosi costretto a ricominiare dal Manisaspor (Turchia). Soffrono la concorrenza, il tatticismo del campionato italiano, si intestardiscono e sputano sentenze contro i tecnici, colpevoli di non vederli o di non saperli motivare. Una storia simile accadde anche a Francesco Millesi, proveniente dall’Avellino, fedele al detto “nemo profeta in patria”: giocò poco, segnò ancora meno, di lui si ricorda solo un cross vincente per la testa di Spinesi, nel 2-2 di Ascoli (2006/2007).
La società prova a dar loro altre chances ma loro decidono che non è il caso, convincendosi che la colpa sta altrove ed è meglio cambiare aria o mettersi contro (vedi caso Plasmati). Risultato scontato: anche in piazze di grado pari o inferiore annaspano e deludono le aspettative. Per Plasmati, che sognava di liberarsi a costo zero ed andar magari alla Lazio, adesso c’è solo il Siracusa (Prima divisione) a chiamarlo. Paolucci, che a Catania non faceva mistero di inseguire la maglia bianconera della Juventus, proprio dalla Juventus è stato utilizzato come merce di scambio per arrivare a D’Agostino, dell’Udinese. Fallito l’affare ed infranto il sogno, è stato dirottato “amaramente” a Siena, da dove non ha lesinato messaggi d’amore verso Catania, anche espliciti. Eppure, al momento di scegliere, alla priorità del cuore ha preferito Juventus e Palermo: due stagioni, quattro esperienze, quattro fallimenti e due soli goal (uno proprio contro il Catania).
Unico caso ancora aperto è Antenucci versione granata, ma l’esordio non è incoraggiante: il Torino era tanto convinto del suo valore che non è stato disposto a metter nemmeno 1,3 mln sul piatto della comproprietà, solo rinnovata.
Poteva andare meglio Ci sono altre storie, quelle per cui la parola fine si scrive e basta. È il caso ad esempio di Fresi o Ferrante, giunti a Catania quasi a fine carriera, e mai veri protagonisti nell’anno precedente la promozione. Fresi addirittura ha deciso di proseguire a Salerno, facendosi prima svincolare dalla società etnea; finisce collezionando solo 6 presenze in una Salernitana che si “guadagna” la C1 per fallimento. Ferrante molla Catania per andare a Bologna. Colleziona un minor numero di presenze rispetto alle 19 in maglia rossazzurra, pochissime da titolare, ed è costretto a vedere il suo triste declino lasciando poche tracce ad Ascoli, Pescara e Verona. Avrebbero fatto meglio a rimanere ai piedi dell’Etna e non fare le primedonne?
Tra i portieri è recente la separazione da Albano Bizzarri, che con indosso i guanti rossoazzurri, ha quasi raggiunto la nazionale argentina. Lasciata Catania per un ingaggio più elevato, è finito in tribuna all’Olimpico, sponda Lazio. Addio nazionale e sogni di gloria. Stessa sorte per il difensore Guglielmo Stendardo e Fabio Firmani.
Infine citiamo gli addii di Terra e Padalino. Per Ernesto, analogo discorso. Emerso in 5 stagioni brillanti a Sora, l’elefante lo lancia titolare in B (veniva dalla C1), ma il forte difensore si lascia prendere dalla fretta e inizia a girovagare per la cadetteria senza mai sfondare. Col Catania avrebbe forse pagato una strategia più a lungo termine ed un sogno, la A, che lui non ha mai visto. Lo svizzero, invece, abbandona Catania per motivi familiari (lontananza dalla famiglia), ma, ad onor del vero, le sue sorti sono migliori: raggiunge la A con la maglia della Sampdoria, dopo 3 convincenti anni a Piacenza. Col Catania siamo sicuri avrebbe avuto le stesse fortune.
Persone che vanno e persone che vengono. Il Catania ha segnato per molti la fine dei sogni. Una piccola vendetta consumata a distanza. Chi ha lasciato la piazza con la mano sul petto e il bacio alla curva, non ha di certo avuto sorte avversa. Vargas e Mascara, due nomi su tutti. L’elefante è vendicativo, attenti a chi non lo capisce.
[Federico Caliri – Fonte: www.mondocatania.com]
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