Che Bari sarà, quello che domenica prossima scenderà in campo al Sant’Elia, contro il Cagliari dell’ex-cittì azzurro Roberto Donadoni? Domanda più che legittima, alla luce di quanto visto nelle gare interne dei biancorossi contro Bologna e Napoli. Certo che lo stato di salute generale della banda-Ventura, non è che lasci molto spazio alla fantasia. La classifica piange, la condizione atletica langue e quella mentale…fermenta: non sono stati pochi, infatti, i segnali di nervosismo che i ragazzi di Ventura hanno manifestato negli ultimi tempi. Peccato, perché le energie nervose, in questo momento, servono eccome; solo che andrebbero incanalate nella giusta direzione.
E invece, in campo lo spettacolo sciorinato dagli undici giovanotti in casacca biancorossa, a tratti sfiora l’indecenza. Come se di colpo, il gruppo combattivo e spavaldo di qualche mese fa, si fosse trasformato in un drappello di sbandati rimasti oltre la linea del fronte in balìa del nemico. A voler essere fin troppo pervicaci, ci sarebbe da chiedere all’A.S. Bari di smettere di adottare il “galletto” quale simbolo rappresentante la squadra di calcio, visto che la stessa non ne rispetta più le caratteristiche di pregio che ne hanno caratterizzato l’accostamento (“…la vivacità e l’intraprendenza, tipiche del carattere dei baresi…”, enunciò il giornalista Alfredo Bogardo, quando negli anni Cinquanta ne sponsorizzò la scelta).
Anche la pazienza dei supporters baresi, ai quali quest’anno andrebbe assegnato un premio per il fair-play e l’abnegazione mostrata, comincia ad essere al lumicino: domenica scorsa, sul finire dell’impegno contro il Napoli, dagli spalti dei San Nicola è montata la protesta contro la società, ritenuta responsabile primaria della debàcle di questa stagione. Il tutto, con la benedizione del tecnico Giampiero Ventura, che ha riconosciuto l’impossibilità da parte dei supporters, di continuare ad applaudire ad oltranza le sconfitte baresi.
Sono diverse settimane, che la vigilia dell’impegno di campionato del Bari, viene presentato come quello dell’ultima spiaggia. Dalla trasferta in terra sarda di domenica pomeriggio, potrebbe arrivare realmente il verdetto definitivo, anche alla luce degli impegni che dovranno affrontare le dirette concorrenti alla salvezza (l’eventuale vittoria del Lecce in casa ai danni del Cesena e la coincidente sconfitta del Bari a Cagliari, spingerebbe i biancorossi a -8 dalla zona-salvezza).
Ma per carità, non parlatene a Gillet e soci: i biancorossi (a parole) non hanno la minima intenzione di issare bandiera bianca. I giocatori che negli ultimi giorni si sono offerti ai microfoni dei giornalisti, giurano nella compattezza del gruppo e nella ferma volontà di conseguire un risultato difficile, ma ancora alla portata. La classifica, a dire il vero, racconta questa verità: tuttavia, ci riesce difficile credere ai giuramenti fatti, se domenicalmente si vede una squadra incapace di concludere in porta, o di arrivare nei sedici metri finali.
Ecco che il quesito iniziale, dunque, si ripropone con forza: con quali aspettative il Bari affronterà la lunga trasferta nel capoluogo sardo? Se l’intenzione dei biancorossi fosse quella di affrontare la partita come se si trattasse dell’ultima, come una finale, con il sangue agli occhi di chi non vuole arrendersi e la determinazione di chi crede fermamente nella vittoria, ebbene che trasferta sia.
Se, invece, lo spirito fosse quello di chi deve “marcare il cartellino” ed il lungo esodo dovesse essere interpretato dai calciatori come una specie di viaggio-vacanza, allora forse sarebbe il caso di evitare ulteriori aggravi sulle finanze del ‘povero’ presidente Vincenzo Matarrese, non presentando la squadra sul terreno di gioco cagliaritano, giacché il 3-0 che si subirebbe a tavolino non si discosterebbe di molto dall’eventuale risultato del campo. E’ il caso di pensarci seriamente, mettendoci una mano (ma anche due) sulla coscienza: dopotutto, una crociera…costa.
[Mauro Solazzo – Fonte: www.tuttobari.com]
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