Bologna, il punto: Pioli è la chiave per riaccendere la squadra

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logo-bolognaCosa può riaccendere il Bologna? Risponde Stefano Biondi de Il Resto del Carlino

In effetti, il problema principale non è Pioli e non è il centravanti e neppure il portiere o la difesa. É che il Bologna è una squadra spenta. Una squadra senza entusiasmo e senza passione. Una squadra che induce il suo capitano a dire di andare tutti a quel paese, imprecazione che non era rivolta ai compagni, ma all’atteggiamento del quale il Bologna è prigioniero da inizio stagione. Una situazione che impedisce a un allenatore efficace per due stagioni di esprimere di nuovo il suo meglio.

Cortocircuito si chiama. Se vuoi riaccendere la luce, devi capire dove e perché è avvenuto. Un indizio c’è: Laxalt e Cristaldo, che per ultimi hanno iniziato a respirare l’aria rossoblù, sono visibilmente più vitali e più determinati degli altri. É come se la loro minore esposizione al <contagio> gli avesse preservato energie e motivazioni. Ma il contagio a che cosa? E siamo di nuovo a porci domande e non a dare risposte. Ecco a che cosa serve l’allenatore: a fornirne una attendibile, a capire come ribaltare un intero ambiente che, dalla società alla squadra, è finito a testa in giù.

Pioli è la chiave. E’ lui a dover trainare anche la società. Viceversa è impossibile, oggi, in queste condizioni. E’ Pioli l’unico uomo di calcio ed è il punto di equilibrio. Prima che sistemare la difesa, indovinare lo schema più funzionale ai suoi giocatori o scegliere fra A B C (Acquafresca, Bianchi, Cristaldo) la punta più efficace, Pioli deve arrivare all’origine del blocco mentale, del cortocircuito appunto: se ci riuscirà, tutto dopo sarà meno complicato e un po’ alla volta  i giocatori, uno dopo l’altro, rientreranno nei loro panni abituali.

Disse una volta Gianluca Pagliuca tentando di interpretare una crisi dell’Inter: “Di buono c’è che a essere giù è tutta la squadra, segno che una sola medicina ci guarirà”. Pioli deve indovinare la profilassi giusta per guarire il Bologna incupito. Questo lo sappiamo: a incupirlo non sono state le sconfitte a ripetizione. Era giù di corda fin dalla partita di Coppa Italia con il Brescia, ha giocato tre quarti d’ora di calcio vivo con il Milan trascinato da Laxalt e da Cristaldo, che vengono da un altro mondo e che non sono incupiti, ma non ha avuto neppure la forza mentale per proteggere il suo tesoro.

É paradossale, ma bisogna sperare che a creare il cortocircuito sia stato lo stesso Pioli, che si è spento dopo la cessione di Taider e che ha lasciato sul piatto il disco rotto di un progresso che la società gli ha precluso, dopo avergli detto che la sua crescita sarebbe avvenuta a braccetto con loro. Se così fosse, nessuno meglio di Pioli è in grado di cambiare approccio e <linguaggio> da adottare con la squadra. E discutere del cambio di allenatore non ha senso, prima di aver capito se Pioli è uno di quegli allenatori monotematici o se (tattica a parte) la duttilità e la capacità tipica dei fuoriclasse di uscire dalle buche più profonde è nelle sue corde.

Che la società non abbia trasmesso entusiasmo alla squadra e anzi abbia <detto> a tutti che il senso dell’euro è più spiccato di quello di appartenenza, può aver iniettato nell’ambiente una dose di indifferenza, può aver trasformato una squadra in un gruppo che immagina altrove il suo futuro. E’ la differenza che passa fra andare per vent’anni nella stessa pensione dove, per piccola e spoglia che sia, crei il tuo amichevole microcosmo o prendere la chiave alla reception di un albergo a ore, magari a quattro stelle: a quello non ti affezioni mai.

In compenso, il Bologna non ha lesinato sugli stipendi. A parte Cherubin (però infortunato) a tutti gli altri sono stati riconosciuti contratti gratificanti e vale nel calcio come in tutte le altre professioni: finché sei pagato, lavori e poche storie. La passione, però, ce l’hai o non ce l’hai e quella, ahinoi, non dipende solo dall’entità dello stipendio, ma anche dalla possibilità di vedere se stessi proiettati nel futuro.

Fin da piccoli, per assorbire le nostre disillusioni, ci insegnano a guardare chi sta peggio di noi. Nel caso del Bologna, sono in tanti a stare peggio. Ci sono interi campionati dove avere lo stipendio è un miracolo. I nostri giocatori sono comunque in una condizione di privilegio e se il loro problema (o quello del tecnico) è di non avere una prospettiva di crescita, è meglio che capiscano in fretta che l’unico sistema per aprirne di nuove è dare il loro meglio, non servire questa brodaglia fredda e insapore che non invoglierà nessuno, un domani, a chieder loro di cucinare un qualsiasi piatto.

[Redazione Zerocinquantuno – Fonte: www.zerocinquantuno.it]