È stato un pomeriggio amarissimo, perché il Bologna ha perso e ha perso male una gara che avrebbe dovuto assolutamente vincere. Troppo importante fare bottino pieno oggi, dopo i quattro punti lasciati per strada come i sassolini bianchi di Pollicino tra Sampdoria e Udinese, troppo grave essere rimasti a bocca asciutta contro il Torino, avversario senza dubbio alla portata. Ma non si può e non si deve giustificare questo preoccupante passo falso andando alla ricerca di un solo colpevole, l’analisi da effettuare è ben più ampia.
Un’analisi che comincia da Andalo e si sposta poi a Sestola, dove nelle settimane di ritiro Stefano Pioli ha modellato la sua squadra su un 4-2-3-1 che ha perso credibilità dopo la cessione di Saphir Taider, ex zaffiro di nome e di fatto del centrocampo rossoblù, e che è stato poi definitivamente accantonato a cominciare dalla gara interna beffardamente pareggiata al Dall’Ara contro i blucerchiati di Delio Rossi. Certo, criticare Pioli in questo momento è facilissimo, come vedremo tra poco, ma non bisogna mai dimenticarsi delle montagne che ogni anno questo allenatore deve scalare per ricomporre i cocci di un vaso puntualmente distrutto da una società inadeguata. A centrocampo l’unico elemento di spessore rimasto al servizio del tecnico è Diego Perez, che deve però ancora crescere di tono, attorniato da una serie di giocatori modesti e da qualche giovane che non si ha ancora il coraggio di lanciare. Diamanti così deve sfiancarsi correndo su e giù, con l’obbligo sia di far ripartire l’azione che di rifinire le punte, sia centralmente che sull’esterno, dove se non crossa lui non lo fa nessuno. Il gioco infatti non passa più dalle fasce ma va ad intasarsi come un vecchio lavandino nella zona nevralgica del campo, e anche per un idraulico provetto come Pioli sono dolori. E Alino sbuffa, e Bianchi non vede palla.
Come detto, la traballante regia di questo mediocre film è di Albano Guaraldi, che durante l’estate ha collezionato bugie, figuracce e cessioni pesanti come macigni. Ora è scoppiata la mania di mostrare sul sito ufficiale del club le fotografie di sorridenti ragazzotti reduci dalla firma su un nuovo contratto. L’ultimo, in ordine cronologico, è stato Panagiotis Kone. Una simpatica trovata dal punto di vista della comunicazione, ma una mezza beffa per la tifoseria, ormai consapevole che tutti quei sorrisi verranno presto ammirati sul rettangolo verde con addosso la maglia del Milan, dell’Inter o della Juventus. Perché qui per sopravvivere, per non scomparire, bisogna vendere i migliori. Ed è gravissimo, oltre che un’insopportabile agonia.
E poi c’è l’allenatore certo, una persona perbene che lavora tanto e non alza la voce. Mai. Un tenero e intelligente delfino immerso in una vasca di spietati e insensibili pescecani. Sì, ha sbuffato, ha borbottato, ma alla fine ha chinato il capo dinnanzi alle vere o presunte esigenze di natura economica della sua dirigenza. Quella stessa dirigenza che in giugno gli aveva raccontato che il cielo era azzurro, gli uccellini cinguettavano felici e tutti i gioielli della rosa avrebbero continuato a brillare di luce rossoblù. E adesso, come previsto e prevedibile, sta rischiando di finire nell’occhio del ciclone come primo responsabile di un avvio stentato. Non è giusto, ma il buon Stefano se l’è cercata. La speranza è che come al solito, grazie alla sua bravura e a qualche numero di magia, il mister gentiluomo riesca a trovare la quadratura del cerchio. Magari affidandosi maggiormente a qualche virgulto di talento, perché a Livorno Mbaye e Duncan sono titolari, mentre qui Yaisien e Laxalt vedono a stento la panchina. O magari intervenendo più rapidamente sull’assetto della squadra e sugli effettivi quando le cose sembrano non funzionare, senza per forza aspettare gli ultimi venti minuti per effettuare le sostituzioni.
Non bisogna poi dimenticare un portiere psicologicamente insicuro e ancora lontano da una condizione fisica accettabile per giocare in Serie A, una difesa lenta con un Antonsson irriconoscibile e due potenziali titolari come Sorensen e Cherubin ancora fermi ai box, per concludere con un attaccante lasciato solo al suo destino che si sta incupendo sempre di più. Certo, non si chiamerà Alberto Gilardino, ma se servito adeguatamente Rolando Bianchi è comunque un bomber di tutto rispetto. Il problema è che nel Bologna attuale i traversoni sono più rari di un’oasi nel deserto.
Un capitolo a parte va aperto per il signor Peruzzo di Schio. Un arbitro mediocre e un uomo con poca personalità, come molti dei suoi colleghi, nonostante le favole che il presidente dell’AIA Marcello Nicchi ci propina ogni volta che viene interpellato. In Serie A vige la legge non scritta dei torti e delle compensazioni, se ti fanno una sgarbo e alzi la voce, magari versando qualche lacrima come di recente ha fatto il tecnico granata Ventura, quasi sicuramente sarai risarcito. Le big schiacciano tutte le altre, le medie schiacciano le piccole, e le piccole si scannano tra di loro. Il Bologna da anni è la più piccola tra le piccole. E non si sta chiaramente parlando di blasone, di storia e di tifo. Si parla di una società fantasma che al giorno d’oggi, nel palazzo del calcio, conta meno di zero. Chiunque dopo quanto accaduto in Torino-Milan si sarebbe preoccupato e avrebbe richiamato l’attenzione dei vertici arbitrali, temendo ripercussioni nella successiva giornata di campionato, quella odierna. A Casteldebole invece non si è mossa una foglia, Guaraldi è stato zitto e Pioli… Beh, ovvio, pure lui. E questo è il risultato: un rigore inesistente assegnato a Cerci e compagni nel nostro momento migliore, giusto per segarci in due le gambe, e un rosso sventolato in faccia a Natali nell’intervallo. La frase incriminata rivolta al direttore di gara e ai suoi assistenti? “Siete scarsi”. Da codice penale, come minimo. Di solito Totti saluta gli arbitri omaggiando le loro madri e le loro sorelle, ma lui può farlo. Natali è meglio che pensi a giocare.
Tutto nero, siamo già in B? No, assolutamente no, per fortuna no, ma bisogna svegliarsi. Mai come quest’anno dovremo essere pronti a soffrire, si spera non fino all’ultima giornata, ma questo inizio non lascia presagire nulla di buono. La squadra è debole e, come direbbe Luca Carboni, “ha bisogno d’affetto e di qualcosa che non c’è”. L’affetto non mancherà, perché il cuore dei tifosi del Bologna è allenato e infinito. Taider invece servirebbe come il pane ma non c’è più, dobbiamo farcene una ragione.
[Simone Minghinelli – Fonte: www.zerocinquantuno.it]