In una lunga intervista rilasciata a Sportweek, il portiere della Fiorentina, Artur Boruc, racconta se stesso: “Il segno della croce prima della partita è una mia abitudine, il modo per caricarmi. E più carica sento, dentro e intorno a me, più il mio rendimento sale. In questo, l’Old Firm è il massimo: l’adrenalina che senti lì, non esiste da nessun’altra parte”.
Febbraio 2006: a pochi istanti dal fischio d’inizio, Boruc si volta verso la curva dei Rangers, protestanti, e si segna: “Sentii alzarsi alle mie spalle una specie di ruggito. Alla polizia ci vollero 10 minuti per riportare la calma”.
Da quel giorno, per i tifosi del Celtic è stato The Holie Golie, il Portiere Santo: “Ci hanno pure costruito sopra un coretto che mi cantavano a ogni partita. La polizia voleva processarmi, mi hanno convocato in Tribunale, c’è stata un’interrogazione parlamentare. La Chiesa mi ha difeso. Insomma, un casino. […] Non devo mica vergognarmi per la mia fede, no?”.
Sull’esperienza in Scozia: “A me quel calcio piace: intenso, caldo, genuino, selvaggio. Ma anche leale. In campo nessuno si risparmia e si mena alla grande, ma senza cattiveria. Il pallone lo intendo così: allo stadio non si va come a teatro, dalla gente mi aspetto passione e calore. Quelli che ho trovato quando la Fiorentina ha giocato a Napoli per esempio. Io stesso sono un tifoso: ero uno dei capi della Curva del Legia Varsavia, la prima squadra per cui poi ho giocato”.
Alla Fiorentina ha preso il posto di Frey, idolo dei tifosi. Nessuna paura? “Il calcio non mi ha mai fatto paura: è il mio lavoro. Ho lasciato il Celtic dopo 5 anni proprio perché avevo bisogno di nuove sfide, nuovi stimoli. Provo paura solo per la mia famiglia. Ho perso mio padre due anni fa e mia madre che ero appena ventenne, entrambi uccisi da un tumore. Ecco di cosa ho paura: delle malattie”.
Come definirebbe sé stesso? “Tranquillo, pazzo e orgoglioso.
[Redazione Viola News – Fonte: www.violanews.com]
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