Calcio, cinque concetti per ripartire nel dopo Coronavirus

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rusciano in campo

Per il neuroscienziato dello sport Aiace Rusciano sono allenamento mentale, resilienza, fan experience, comunicazione interna e cultura del club

MILANO – “Salvare il calcio”: è questo il leitmotiv che domina le cronache sportive da quando lo sport più amato dagli italiani è stato paralizzato per tutelare la salute pubblica durante l’emergenza coronavirus. Se i Club scalpitano per tornare ad allenarsi il 4 maggio, c’è chi propone di terminare il Campionato a settembre, chi si immagina una Serie A suddivisa in due gironi, chi sembra rassegnato a congelare la stagione 2019-2020 così com’è.

Aiace Rusciano, già neuropsicologo e neuroscienziato di AC Milan – Milan Lab, oggi responsabile del Lab di monitoraggio psicofisiologico di AC ChievoVerona, suggerisce di affrontare il tema da un punto di vista diverso.

“Sui giornali leggo soltanto tante ipotesi sui modi per salvare il calcio, molto più di rado trovo riflessioni sistemiche o proposte innovative. Così facendo, però, restano irrisolte tutte quelle debolezze strutturali che proprio in questo periodo si stanno manifestando in tutta la loro evidenza”.

Indipendentemente dalla data e dalla formula della ripresa, Rusciano suggerisce dunque di edificarla su cinque progetti innovativi, capaci di innescare il salto di qualità di cui si sente profondamente il bisogno:

  • Più cervello e meno tattica nei programmi di allenamento. Quest’emergenza può essere l’occasione giusta per configurare nuove strategie di allenamento che mettano al centro le capacità cognitive degli atleti. L’intelligenza di gioco, l’attenzione sostenuta, la vigilanza e la gestione dello stress, infatti, non sono una questione di “carattere” o “ispirazione” ma sono associate a precisi network cerebrali. E le neuroscienze dell’alta prestazione, che fanno perno sulle tecnologie di monitoraggio e analisi dei Big Data, hanno mostrato una netta correlazione tra queste doti cerebrali e il numero di goal, assist e infortuni, da cui deriva il valore economico del calciatore stesso. “In più di dieci anni come psicologo e neuroscienziato responsabile del monitoraggio psicofisico prima presso AC Milan e ora presso AC ChievoVerona, ho collaborato con Allegri, Inzaghi, Corini, Di Carlo, Pioli, Maran, Seedorf e altri”, spiega Rusciano. “I dati provano in modo incontrovertibile che il cervello dei calciatori è una leva importante che racchiude, coordina e integra le loro abilità tecnico-tattiche, cognitive, fisiche e di benessere”. Allenatori del calibro di José Mourinho e Carlo Ancelotti adottano già da tempo le metodologie e gli strumenti scientifici che stimolano la psicologia degli atleti, favorendo un miglioramento tangibile delle loro performance.
  • Potenziare la resilienza di calciatori e club. Il progetto scientifico Italian Footballer Mental Health during emergency Covid-19. Risks factors and preventive Serie A, B e C Club’s actions, diretto dal Prof. Aiace Rusciano con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR di Padova, sta valutando le potenziali conseguenze psicologiche dell’emergenza-coronavirus nel settore calcistico. Stando ai risultati preliminari, fino al 20% degli atleti potrebbe incorrere in disturbi stress-correlati, che aumentano il rischio di infortuni muscolari (e quindi di costi aggiuntivi per i Club). “Peraltro non è detto che allenatori e management siano addestrati a gestire lo stress”, continua Rusciano. Dati recenti dell’Agenzia dell’Unione Europea per la Sicurezza e della Salute sul Lavoro (Eu-Osha), pubblicati nel rapporto Calculating the costs of work-related stress and psychosocial risks, stimano che il costo dei rischi psicosociali e da stress per le aziende europee possa arrivare a 617 miliardi di euro annui, oltre il 3% del Pil comunitario. “Alcuni top atleti e manager sportivi con cui ho lavorato dimostrano un controllo mentale estremo. Mi vengono in mente ad esempio Pellissier, Kaka, Menez, Sorrentino, Giaccherini, Balotelli, Essien, Fernando Torres, Dainelli, Donnarumma, Matri, Montolivo, Acerbi, Cristante o campioni internazionali come Ronaldo, che in momenti di estrema difficoltà riescono a sprigionare enormi energie e realizzare prestazioni di primo livello”. Le neuroscienze sono in grado di dare una spiegazione a questa “superior cognition” e di tradurla in cifre. “Per fare un esempio, il loro autocontrollo può gestire fino a 1-2 respirazioni al minuto, abbassando le pulsazioni cardiache di 20 battiti in poche decine di secondi, con un’attività muscolare di 1 microvolt, portando volontariamente le loro onde elettroencefalografiche in 8Hz, con effetti diretti sull’attività cerebrale che farebbero invidia ai più esperti maestri buddhisti ed esperti yoga”, prosegue Rusciano.
  • Stadi a porte chiuse? Spazio alla comunicazione digitale e alla fan experience. Da qualche anno l’engagement dei tifosi è legato alle nuove tecnologie, ai Big Data e ai canali di comunicazione digitale (social media, smart arena, mixed reality). “L’Italia è ancora un po’ in ritardo sulla rivoluzione del tifoso 4.0, già avvenuta molti anni fa nelle leghe sportive Usa. Questa fase di crisi può diventare una grande opportunità per potenziare i progetti strategici per la comunicazione digitale dei Club, creando engagement e relazioni con la fanbase”, commenta Rusciano. “Tali strumenti hanno un enorme potenziale in termini di introiti; un tema che in questa fase sta comprensibilmente a cuore ai Club, che temono per la propria tenuta economica”.
  • Rafforzare la comunicazione interna nel Club. In questi giorni il calcio sta scoprendo gli strumenti messi a disposizione dall’Industria 4.0 per migliorare la comunicazione tra staff e il controllo della condizione psico-fisica degli atleti: videochiamate, live meeting, addirittura training monitorati a distanza come accade nel Tottenham di Mourinho. “Queste tecnologie non vanno intese come un ripiego, ma devono entrare a far parte in modo strutturale dell’organizzazione dei Club. Una comunicazione interna disfunzionale comporta inefficienze e costi”, afferma Rusciano.
  • Potenziare la cultura e l’etica dell’organizzazione. Lo dimostrano recenti studi della Harvard Business School: le organizzazioni che si basano su valori solidi e su una forte cultura riescono a innestare nella psicologia dei loro membri un reale senso di appartenenza, cooperazione, responsabilità e disciplina. Ciò significa che le persone ottengono risultati migliori nel loro lavoro, che si traducono in un vantaggio economico-finanziario per l’impresa nel suo insieme. Questo ragionamento è pienamente valido anche per i Club. “I valori e l’etica sono asset invisibili che finora il mondo del calcio non ha valorizzato a sufficienza. Con il ritorno in campo, è auspicabile una rivoluzione della cultura interna dei Club”, conclude Rusciano.