ROMA – L’errore banale, che da un paio di mesi a questa parte sta annacquando le pagine dei giornali, è quello di confondere una singola cellula con l’intera struttura, quelle fondamenta flebili che, però, sostengono tutta la struttura e le sue crepe. E’ la capacità di saper imbarcare acqua resistendo alle mareggiate, alle intemperie e a quelli scossoni economici che, dalla note dei tempi, devastano un sistema al collasso. Una metafora lunga e stordente, una metafora utile per non confondere e identificare il calcio nostrano con la sola Serie A. Già, un errore banale che gli stessi organi competenti stanno commettendo, attraverso dichiarazioni opinabili, distorcendo la centralità di un sistema di fondamentale importanza per la società contemporanea.
C’è un mondo dietro Ronaldo, c’è un mondo simile ad un pallone bianco e nero ed è quella stessa sfera che regola quella piramide che porta fino al punto più alto, la Serie A. Il carro che traina tutto è sotto, dalle migliaia di compagini che rischiano di sparire e quelle che hanno già salutato la compagnia a causa di una Pandemia subdola, lei che non guarda in faccia a nessuno. Non ci sono milioni in cui annegare nel calcio dilettantistico ma sacrifici giornalieri da parte di quei presidenti con una gran passione e una piccola azienda, disastrata dalle conseguente economiche di questo periodo plumbeo, il pallido sole si sta affacciando solo ora.
Inutile girarci intorno, inutile fare quella retorica insopportabile: “22 scemi che prendono a calci una palla”. Frasi simbolo dell’ignoranza voluta, di chi non riesce a comprendere che il sistema “Calcio” ingloba 46.500 dipendenti che, al pari di un operaio in cantiere, superano di poco i 1000 euro netti al mesi. Ogni mestiere, ogni singola goccia di sudore gettata via per una singola causa è importante, senza distinzioni subdole tra un magazziniere di Serie A e un muratore. Sono facce dalla stessa medaglia, facce stanche e preoccupate di ciò che potrà accadere, delle decisioni che chi di dovere non riesce a prendere per timore, per paura di prendersi una responsabilità cosi grande.
Il calcio italiano deve ripartire e può farlo. Lo deve ai 5 miliardi di fatturato annuo, lo deve alla sua importanza del PIL del nostro Paese, lo deve a coloro i quali ne hanno bisogno per vivere e per tornare a vivere una singola cosa con leggerezza. Sono tempi duri, marchiati dal piombo oscuro, ma la luce in fondo al tunnel c’è ed è pronta uscire attratta dalla calamita del buon senso. Il calcio italiano deve ripartire nella sua interezza, lontano dagli errori banali di chi vuole ridurre tutto alla Serie A. Sotto il freddo oceano c’è un iceberg immenso che rischia di sciogliersi e i suoi cristalli di ghiaccio in mille mezzi negli abissi dell’indecisione collettiva.
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