Quando un calciatore passa più tempo in clinica che in campo dispiace sempre, ma quando tocca ad un esempio di professionalità, dedizione ed amore per il proprio lavoro, dispiace cento volte tanto. Chi era davanti alla televisione mercoledì scorso a vedere Milan-Palermo, non si era reso conto di cosa stesse accadendo; neanche chi era allo stadio. Una carriera che stava (forse sta) per finire. Filippo Inzaghi non può essere odiato: né dagli avversari né dai concorrenti. Vederlo giocare è un piacere unico, quando segna gode come fosse al primo gol in serie A.
Ci mancherà con quelle urla verso i guardalinee anche se è tre metri in fuorigioco, ci mancherà per le corse verso la bandierina e quell’aria incredula ad ogni rete. Il latte con i plasmon al mattino, la bresaola a pranzo! Un esempio che non dovrà passare mai. Anche se dovrà maledire mille volte quel legamento crociato anteriore e quel menisco esterno che, probabilmente, lo costringeranno a lasciare il calcio. Il consiglio, per SuperPippo, è proprio quello che il grande Pelè diede a Ronaldo un po’ di tempo fa. “Lascia quando ancora ti rimpiangono e non quando ti sopportano”.
Parole sante, applicabili anche al caso di Inzaghi, il quale si è regalato una doppietta in Champions, al Real Madrid, ed un nuovo record europeo, prima del terribile crac. Un suo ritorno, nel 2011, non avrebbe senso dopo un infortunio così grave. Lui non molla, lotta e prova a farcela ma non si può andare contro natura. Nulla a che vedere con l’infortunio di Alexandre Pato; MilanLab farebbe bene a dare delle spiegazioni. Come ha fatto questo ragazzo a crescere 8 centimetri in un anno, a mettere una muscolatura da far invidia a tutti e poi a ritrovarsi con due ginocchia fragili come quelle di un ventenne?
Ci lasciamo alle spalle una domenica anomala, interessante nei derby della Sicilia e di Milano, agguerrita nell’anticipo di Torino e combattuta nel lunch-match di Roma.
Finora gli allenatori non hanno pagato a caro prezzo i propri errori; farebbero bene a preoccuparsi a Bari, Cagliari e Catania. Ventura sta, purtroppo, confermando il sospetto di inizio stagione. La scorsa annata ha rappresentato un’eccezione, non la regola. Il Bari spettacolare di un anno fa non si vede più, il gioco spumeggiante dei pugliesi si è tramutato nelle difficoltà sotto porta e nelle amnesie difensive. A Catania, Pietro Lo Monaco difende a spada tratta Marco Giampaolo. Anche qui una triste conferma: forse stiamo parlando di un tecnico sopravvalutato. Bravissimo nella teoria, meno nella pratica. Gli etnei non girano ed il loro allenatore fatica a farsi capire. Lui e lo spogliatoio parlano due lingue diverse. Questo Catania, per l’organico allestito, non merita la classifica di oggi. A Cagliari è un disastro. La squadra non segue Pierpaolo Bisoli, il sospetto è che non lo abbia mai seguito. Forse si è presentato male, forse i calciatori vogliono poteri che non meritano, ma sta di fatto che il rischio che il giocattolo si rompa diventa concreto.
Il Lecce è un caso da studiare attentamente: prima ferma i Campioni d’Europa, poi soccombe ad Udine. Qualche incongruenza di troppo.
Intorno alle 19 di ieri, in redazione, in attesa del derby tra Inter e Milan, sono arrivate le convocazioni di Cesare Prandelli per l’amichevole Italia-Romania. Ranocchia bene, Diamanti ci sta, Aquilani la merita, Balotelli la ritrova… Ledesma! Chi? Sì, Prandelli insiste con gli oriundi. Prima Amauri, adesso il laziale argentino. Ma siamo messi così male in Italia da essere costretti a rivolgerci ad un centrocampista ignorato dalla Seleççion? Visto che ci siamo, considerato che l’attacco è il reparto più in difficoltà, perché Cesare Prandelli non convoca anche Mauro Zarate e Maxi Lopez? Poi, però, non chiedeteci di cantare l’inno di Mameli: per una questione di rispetto nei confronti dell’indimenticato patriota e scrittore Goffredo.
[Michele Criscitiello – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]
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