Caro Stefano, ti scrivo…

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Ci sono attimi che ti restano dentro, momenti che ti colpiscono e ti bloccano, sensazioni uniche. Mi perdoneranno gli amici del mercato, mentre scrivo proprio non ce la faccio a parlare di Ganso e Tevez, Farfan e Ibra.

Sono appena tornato in redazione, ho passato uno dei pomeriggi più emozionanti della mia vita, ve lo voglio raccontare. Giussano, una quarantina di km da Milano, poco dopo le 18: ho appuntamento con Stefano Borgonovo, mi sono anche messo la giacca, forse ho sbagliato ma non sapevo come vestirmi, davvero. Mi apre la porta l’unico figlio maschio, Andrea, ci sono strette di mano che valgono più di mille parole. Aveva 16 anni circa quando il papà è stato male, non voglio nemmeno immaginare cos’abbia provato, mi vengono i brividi. Si avvicina la mamma, Chantal: ha un sorriso che ti avvolge, una forza che ti contagia, adesso capisco perché si dice sempre che un grande uomo si vede dalla donna che gli sta vicino.

Sono passati 5 anni e mezzo da quando Ste ha visto la “Stronza” , come la chiama lui. Molti altri suoi compagni di malattia sono già morti, di solito ti ammazza in due, tre anni. Un altro ex calciatore la combatte da dodici, non si arrende proprio come lui, è la vittoria dell’orgoglio. La casa sa di buono, l’ospitalità prima di tutto, qui sono venuti Beckham e Ancelotti, persino Butragueno che ha preso un aereo da Madrid la mattina e un altro la sera solo per rivedere un avversario di tante sfide e regalargli la maglia blu del Real, numero 7, rigorosamente con dedica.

Il prossimo sarà Guardiola: Borgonovo gli ha mandato una copia del libro, lui l’ha letta e ha risposto via mail, promettendo che insegnerà l’italiano ai suoi figli solo perché possano leggerlo anche loro, un fuoriclasse anche nella vita. Parlo con Chantal mentre Stefano è impegnato a fare fisioterapia, ho paura di disturbare, la ringrazio perché mi fa sentire subito a mio agio. Sono qui perché voglio aiutare la loro Fondazione, raccoglierò maglie e palloni dopo le mie telecronache, le metterò all’asta su E Bay, il ricavato sarà per una buona causa.

Non ho mai conosciuto Ste, ci siamo scambiati solo tante mail, mi piacerebbe anche chiedergli di scrivere per il mio sito, vorrei che avesse un filo diretto con chi gli vuole bene. La fisioterapia è finita, mi dicono che posso entrare nella sua stanzetta, c’è una luce strana che arriva da fuori, c’è un ragazzone di 47 anni nel suo letto con il televisore davanti, foto e maglie in giro per la camera, è il suo mondo. Gli occhi sono vivi, più vivi che mai, la barba fatta di prima mattina, i capelli un pò spettinati, meno lunghi di come li portava in campo. Lo vedo e mi trema la voce, mi sono preparato tante cose da dirgli, non mi esce più niente, solo un banalissimo saluto, il frutto dell’imbarazzo.

Non so se dargli un bacio, accarezzarlo, parlargli, guardarlo, non so che fare: mi fanno sedere su una poltroncina vicina al letto, è lui che rompe il ghiaccio, sono proprio un fifone. C’è un macchinario con cui scrive, può navigare su internet e mandare mail, persino sms. Lo comanda con lo sguardo, è regolato dagli infrarossi, compone le frasi con gli occhi, una voce elettronica li legge, eppure sembra che usi le mani. “Ciao Gian, pigrone…”, mi accoglie così Borgonovo, ce l’ha con me forse perché ci ho messo tanto per andare a trovarlo. “Hai ragione Ste, perdonami…”, lui si gira verso di me e mi fissa, già mi verrebbe da piangere.

So che segue il calcio minuto per minuto, gli chiedo allora del Napoli, so che ce l’ha nel cuore anche senza averci mai giocato. “Per lo scudetto è dura, ma sarebbe fantastico…t’immagini ? Mazzarri è un grande, se vincesse il titolo…si rifarebbe i denti credo…Non sembra simpatico ma devi conoscerle le persone per giudicare. Tra i giocatori, mi piacciono Dossena e De Sanctis. E tu, invece, di Lavezzi che giudizio hai ?”. Borgonovo fa le domande a me, i ruoli si sono invertiti, incredibile ma vero. Poi mi scrive sul suo computerino tre aggettivi per il Pocho: buono, ottimo e fuoriclasse, mi sembra di essere a qualche gioco a premi, una scoperta continua. Gli dico “Ottimo. Per essere un fuoriclasse dovrebbe segnare di più…” e lui mi risponde “Concordo”, siamo già amici.

Parliamo per quasi due ore, di Ibra e Rambone (si ricorda tutto, ha una memoria impressionante), di Messi che gli ha regalato la maglia dell’Argentina con le firme di tutti i giocatori, di Firenze che lo rivedrà protagonista il 25 Giugno ma non voglio anticipare di più, di un gioco (un esercizio specifico per tirare le punizioni, ne sentiremo parlare) che ha inventato e brevettato, del parere che deve dargli adesso Platini. L’avrebbe voluto presentare al San Paolo, se Maradona avesse veramente festeggiato lì i suoi 50 anni, c’era già un accordo con Diego, non mancherà un’altra occasione, ne sono sicuro. Mi chiede di mio padre, vorrebbe che venisse a trovarlo. Glielo chiamo, lo metto in viva voce, spalanca gli occhi e ride quando gli dice in napoletano che segnava sempre contro di lui, sul filo del fuorigioco, come i ladri di portafogli. Mi commuovo, asciugo subito le lacrime, non voglio farmi vedere così.

Gli chiedo se vuole scrivere sul mio sito personale e mi risponde che sarebbe fantastico, ci facciamo una foto, mi viene da dargli un bacio sulla fronte e lo faccio, senza nemmeno chiedergli il permesso. Non vorrei andarmene più, lo saluto ma lui continua a scrivere con gli occhi. Lo guardo, mi guarda. Me ne vado e penso sempre a lui. Ho conosciuto la Stronza, è vero. Ma soprattutto il suo Nemico. L’Amico di tutti noi.

[Gianluca Di Marzio – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]