CATANIA – Farsene una ragione, dicono. Facile a dirsi. Se poi ogni ragione che da lì parte, sempre lì torna a sbattere, riparte, e ritorna a sbattere. Sempre lì, tra quelle parole, sempre le stesse, sempre le ultime, che come in ogni relazione sembra parlino, ogni volta di più, ogni volta più di quanto esse stesse non vogliano, non possano, della persona che le ha pensate, della persona che ce le ha dette faccia a faccia, e che poi la sua faccia ha nascosto, la sua faccia ha voltato oppure ha solo cambiato, davanti ai nostri occhi, com’è facile da credere, com’è difficile da spiegare.
Perché in fondo, credere è immaginare, convintamente, di poter attraversare quel labirinto di parole con un filo logico chiaro, e portalo in chiaro fino all’uscita. Farsene una ragione è invece riuscire, concretamente, a venirne fuori col filo spiegato, senza che resti impigliato, venga spezzato, diventi una matassa, ne impedisca irrimediabilmente l’uscita. Credere è sempre stato facile, fin troppo, sorvolare un ostacolo anziché attraversarlo: credere di aver ragione, credere di aver torto, credere comunque di aver capito.
E noi, che al quarto tentativo credevamo davvero di aver capito quale fosse la strada giusta, quale fosse la persona giusta con cui condividere il cammino, per la quinta volta ci ritroviamo sempre lì, soli, fuori dal labirinto, a constatare di aver preso, dentro, strade diverse, a constatare di aver perso, dentro, l’ennesimo allenatore, a constatare di aver comunque sbagliato la strada o la persona scelta. Se due indizi fanno la prova d’un delitto, cinque sarebbe un delitto non ritenerli bastevoli per iniziare un’indagine più approfondita sulle ragioni che hanno portato alle scelte.
Il nodo da sciogliere, l’inghippo, il punto di rottura sta tutto qui, proprio qui, nel capire concretamente se l’allenatore fosse quello giusto, ma sbagliata la strada scelta per trattenerlo, o giusta la strada ma sbagliato l’allenatore scelto per trattenersi insieme fino alla fine (del contratto). Perché ammettiamolo, ci siamo cascati tutti, tutti credevamo di poter aprire un ciclo tecnico con Montella, e tutto credevamo fuorché tra debolezze, sbalzi d’umore, mal di pancia, non sembrasse che “il ciclo” alla fine fosse venuto al tecnico.
E per aprire un ciclo che non corrisponda col ciclico partire, sbattere e ripartire con un nuovo tecnico, la ragione suggerisce di pensare ed agire in maniera alternativa alla condotta degli ultimi 5 anni: scegliere un tecnico con profilo personale e professionale ben diverso dal solito giovane emergente; oppure scegliere una strada non propedeutica ma concorrenziale a quella fascinosa proposta dalle “grandi squadre”, che sia in grado di allontanare ogni tentazione o debolezza, insomma, capace reggere il confronto con “ingaggi da oltre un milione di euro”.
Avremmo bisogno di trovare e scegliere un allenatore di cui poterci fidare almeno quanto lui stesso sappia di potersi fidare della società, e non in cui dover noi per primi creder possa esser quello giusto, onde poi scoprire che “quoque” lui, per primo, mai ha creduto il Catania squadra giusta. Perché è difficile immaginare la strada percorsa finora, la stessa che ha portato sei salvezze consecutive, il progressivo miglioramento dei risultati sportivi ed economici, la valorizzazione del parco giocatori, la costruzione del centro sportivo etc.. esser, tra le due, la scelta sbagliata.
Ma un tecnico così dov’è? Ma un tecnico così c’è? Nell’attesa accettiamo l’evidenza che, al di là di ogni ragione, le debolezze albergano ed albergheranno sempre nell’animo umano, anche dopo una cocente delusione, anche dopo un duro insegnamento, perché sono queste a ricordargli ed a ricordarci non esser un supereroe ma, appunto, solo un uomo. E quindi adeguiamoci, per trarre comunque indennizzo se non beneficio dal merito di aver creduto nelle capacità di questi lanciandolo o rilanciandolo all’attenzione irresistibile di questa o quell’altra squadra.
Pienamente condivisibile la nuova condotta del Catania, da alcuni osservatori interessati definita invece “ricatto”. Un piccolo cambio di percorso che serva a render più chiaro, a tutti gli interessati, che: i contratti si rispettano, l’energia costa, le risorse profuse vanno reintegrate, il prodotto trasformato e pronto all’uso se lo si vuole lo si paga. Perché se non lo si paga, lo si “ruba” ed il Catania, allenatori, si spera non se ne faccia “scippare” più, anche a costo di esonerarli e costringerli in tribuna o spedirli ad allenare i “primi calci”: battezzarne uno per convertire tutti gli altri.
Montella è andato via, o quasi. Ce ne siamo già fatti una ragione, ma stavolta a ragione, perché la sua partenza ha lasciato preziosi insegnamenti per il futuro. Perciò rieccoci qua, sempre qua, allo stesso punto di partenza ma con qualche ragione in più e qualche faccia nuova che ci inducono ad esser fiduciosi come mai di poter avviare un ciclo od un riciclo tecnico (nel caso di Marino) duraturo. Credere è difficile ora, ma inevitabile come sempre, perché l’unica certezza è quel che è, adesso, non quel che sarà, col senno di poi.
Ma adesso sappiamo meglio a chi ed a cosa credere, soprattutto quanto credere. Prima di immaginare o dichiarare di aver in pugno il tecnico ideale, abbiamo compreso esser utile e necessario constatare quali siano i veri ideali perseguiti da questo tecnico. E questo è soprattutto un consiglio, spassionato, un consiglio che che potrebbe tornar comodo.. anche e soprattutto alla Fiorentina. Che il Catania possa volare in alto anche senza l’Aeroplanino è facile da credere, alla società immaginare e trasformare in realtà il come..
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]
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