I ricordi non hanno una categoria, avranno pure una data ma non un’età. Sono le lontane memorie che si avvicinano quando i nostri passi si fanno incerti, per raggiungerci laddove, ad un certo punto, si sono fermati. Non vanno mai oltre, non possono, per questo i ricordi non passano, mai.
I ricordi semmai ripassano, avanti ed indietro, per intero, la nostra storia. Fino ad impararla a memoria.
Filo, annodato alla cruna della memoria: rammendano il nostro passato al nostro presente, il punto da cui siamo partiti al punto in cui ci siamo fermati, quanto serve per rammentare direzione e senso al nostro smarrito cammino; Ma serve di più, allora allo stesso tempo, fanno di più: rammendando il nostro primo al nostro ultimo passo, la spinta iniziale all’ostacolo terminale, ci rammentano la ragione che ci ha spinto a partire, e così anche la forza per continuare a camminare, lungo la direzione della storia, verso la leggenda.
I ricordi sono questo. Sono come per un figlio, il padre. Quando smette di esser ostacolo e diventa indicazione. Non pretesa, ma mano tesa. Sono la nostra famiglia, che chiede di poterci accompagnare ovunque vorremo andare, restarci accanto, perché saranno tutto ciò che della nostra famiglia resterà, e tutto quel che avremo quando sentiremo di non aver più nulla. Sono l’unica ricchezza capace di fare di un ragazzo, un uomo; e di una ragazza, una donna.
I ricordi questo sono. C’è voluto più a scriverlo, che a capirlo. A capirlo è bastata una mezza giornata. É bastato vedere Monaco giocare insieme a Bellusci, Ciceri e poco dopo Petkovic. Vecchie glorie, prima squadra e primavera. Insieme come una famiglia. I nonni col sorriso da nipoti, i nipoti col rispetto che gli hanno insegnato i padri ed i padri con l’esperienza da nonni. In campo, e sugli spalti. Ed ho capito. Il tempo avrà pure sbiadito i contorni, come i capelli, e stropicciato le foto, come le rughe il viso, ma ciò che non è riuscito a cambiare, ciò che nel tempo è rimasto uguale, che ieri come oggi ci unisce, che fa di noi una famiglia, sono i colori di quelle maglie: il rosso e l’azzurro.
Fili del ricordo, annodati alla memoria, che come un ago, seguendo le traiettorie del pallone, ripassa avanti ed indietro, dall’una all’altra metà campo: si tuffa nel passato, riemerge nel presente. Tessendo, quei due colori senza età, in un’unica maglia, che non ha una categoria, solo una data, 1946. Iniziata dai nostri nonni, difesa dai nostri padri, è adesso nelle nostre mani. Cosa fare? Verso dove puntare per dimostrarci all’altezza dei nostri nonni e padri ma riuscire anche a dare ai nostri figli e nipoti un futuro migliore?
I ricordi, non a caso, ci hanno raggiunto qui. Durante la settimana in cui ci siamo fermati, proprio ad una settimana esatta dalla partita che segna un bivio, non nella stagione, ma nella storia della maglia rossazzurra. Si sono ricongiunti da ogni data, da ogni luogo (credo persino da lassù), rammendandosi nella maglia di adesso, che ha gli stessi colori di sempre, per rammentarci di aver alle nostre spalle la storia dei gloriosi sacrifici che ci hanno condotto fin qui; davanti a noi la strada che porta alla leggenda; e dentro questa maglia la forza di una famiglia, divenuta popolo, per percorrerla insieme, fino in fondo, fino a farne il più bel ricordo di noi.
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]