Le occasioni perse dal Catania sono ormai troppe per fomentare il rimpianto di quel che sarebbe potuto essere “se..” (quella volta o quell’altra ancora, come anche, pure là però, oppure quando..). Contro il Bologna, a cui come a Chievo Verona e Cagliari sono stati lasciati punti sei, è arrivata la quarta sconfitta nelle ultime otto gare di campionato (3 pareggi ed una vittoria). Indizi che denotano un calo evidente, inoppugnabile; inizi di cui va tenuta in conto anche la data di reperimento, al fine di studiare approfonditamente le ragioni di una flessione che, stagioni fa, sarebbe stata fisiologica, quasi attesa al termine di campionati in cui il massimo raggiungibile coincideva col minino sindacale, la salvezza, preziosa sempre, apprezzabile sia per la competitività dell’organico etneo sia per la ben più elevata competitività degli avversari europei.
Quest’anno però vita nuova, ma vecchi difetti. Così, pur mancandone le premesse, le conclusioni tratte restano le stesse che, ciclicamente, sigillano stagioni imperfette da traguardo sognato, sfiorato, mancato. Perché sfiorare non è un merito, è un limite. Specie quando si deve saltar verso l’alto, quando sfiorare significa mancare, l’appiglio, ed inevitabilmente ricadere giù, non per forza in equilibrio. È la metafora di questo Catania, che vincendo contro Lazio e Fiorentina, al culmine di una serie utile record, si trovava sesto, alla pari con l’Inter, in piena corsa per l’Europa ma che, da allora in poi, non ha più vinto, al massimo pareggiato, punti onorevoli contro Napoli e Milan, seguiti da inattesi scivoloni contro Chievo e Lecce che l’hanno riportato giù, all’ottavo posto. Quindi il sussulto, quando c’è stato da difendere il titolo di “rivelazione” del campionato contro l’Atalanta: “la vittoria od una delle vittorie più significative della mia gestione” affermò Pulvirenti. Una nuova rampa di lancio, contro il Cagliari, a Trieste, l’ennesimo aggancio mancato, e si ritorna giù: stavolta più che mai, decimi.
Episodi determinanti: un errore del difensore, un rigore ingenuo, un euro-goal subìto, tanti goal sbagliati; la pace del cuore si nutre di alibi. Ma se, l’anno scorso, come da cinque anni, la ninna nanna faceva così: “vorrei ma non posso”, cambiato il potenziale, cambiate le premesse, è giusto domandarsi: può la stessa “nenia” infonder ragionevole pace ai colpi secchi di stizza sopra deschi, tavolini, pareti, panchine e via discorrendo? No, o meglio no se come giustificazione si serve la solita storia della “motivazioni”; la solita poltiglia, trita e ritrita, dov’è impossibile distinguere gli ingredienti ma che sazia come nessuna quando rigurgitata alle bocche stanche dei bocconi amari ed affamate da quelli raffermi. Sarebbe una contraddizione, una contraffazione alimentare, sarebbe mascherare da “vorrei ma non posso” un “potrei ma non voglio”.
Ma nemmeno un “potrei ma non voglio” può esser la ragione. Un Catania svogliato non sarebbe arrivato dove è arrivato questo Catania. Non avrebbe parlato di un aggancio alla zona Europa, né tentato concretamente d’appigliarcisi se non avesse creduto fortemente nella propria adeguatezza a tale impresa. Non avrebbe rischiato il salto se avesse avuto anche la minima titubanza, la minima paura di poter ricadere giù, di rischiare figuracce. Non si sarebbe esposto tanto da rischiare di tradurre in deludente la stagione dei record, la più esaltante di sempre.
Il Catania ha provato a volare, rampa di lancio, decollo, flessione, atterraggio goffo dopo pochi metri. Una prima, una seconda, una terza volta. Ridondanza che denota volontà cocciuta, e pure indubitabili capacità, indispensabili per ritrovarsi uniti sotto un obiettivo, come anche mezzi per recuperare convinzione e forze e riprovare, pur non riuscendoci, neanche stavolta, a spiccare il volo.
Certo non sono solo “episodi”. Certo non sono state le “motivazioni” la causa della flessione. Certo questa squadra ha meritato tutti i complimenti ricevuti per quanto fatto, certo però sarebbero forse stati più utili se tributatile quando esaurito tutto quel che da fare aveva.
Complimenti rivolti per primo a Montella e che Montella per primo non gradiva, per esperienza, conoscendone bene gli effetti. Complimenti rivolti quindi ai giocatori, alla società, a tutto ciò che stava dando formato “europeo” al Catania. Complimenti ridondanti, ad ogni piè sospinto in classifica, complimenti che pur meritati anche adesso, proprio adesso, al culmine di una stagione da record, proprio adesso si elargiscono con maggior parsimonia, sin quasi a risparmiarli del tutto, a venir meno.
Complimenti ed ambizioni europee vanno via a braccetto, insieme, vengono meno all’unisono, come legati, come i “posso” con i “vorrei”.
Non esiste qualificazione europea senza complimenti. Ma possono comunque esistere complimenti senza qualificazione europea.
Forse, un giorno, forse presto, il Catania riuscirà a sostenere sia gli uni che gli altri, a tenerli insieme, vicini, a se; potrà non dover porre sempre un “man non” tra i “vorrei” ed i “posso”. Allora il volere sarà potere, l’Europa ed i complimenti una realtà conseguenziale.
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]
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