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Catania: le analogie con la sfida dell’Olimpico …

Diciamolo pure, le analogie col pareggio di Roma sono tante. Attenendosi ai dati oggettivi, computabili, già solo il punteggio la dice lunga: anche a Roma il finale poteva chiudersi sul 3-2 per il Catania, anche contro il Genoa il finale poteva dare il pari, legittimo ma immeritato, agli avversari. I goal subiti, poi: Altri due, nonostante il gran lavoro che si dice e si fa per ridurre la perforabilità. La formazione: Maran conferma, contro il Genoa, il blocco titolare che ha affrontato la Roma. Castro: entrato anche stavolta a gara in corso, si dimostra ancora decisivo nell’azione del secondo goal e, più in generale, nello scuotere la squadra riportandola in area avversaria. I minuti finali: Il dover amministrare la vittoria trasforma il Catania da indomito a timoroso, arretra, subisce l’offensiva avversaria come mai nei precedenti 90′. Quel calcio di punizione allo scadere: Con tutti gli avversari in area, che chiude col brivido tanto la gara dell’Olimpico che quella del Massimino.

Ma se qualcosa in sette giorni è oggettivamente cambiato, come riporta prosaico il risultato, bisogna sforzarsi di trovare anche le diversità con la sfida dell’Olimpico. Il centravanti, innanzitutto: Bistrattato dai tifosi più che dalla stampa, sostenuto dai propri compagni, Gonzalo Bergessio mette a segno due reti da centravanti puro. È la sua prima doppietta italiana ed arriva nel secondo tempo inoltrato d’una gara dove non si può certo dire abbia risparmiato forze in mezzo al campo, quelle stesse poste a giustificazione della poca lucidità in zona goal. La mossa dalla panchina: Maran spedisce Castro in campo ma non al posto d’un attaccante, bensì d’un centrocampista, aumentando così la portata offensiva della squadra. La posizione di Castro: Che non gioca trequartista destro ma interno sinistro di centrocampo, com’era abituato in Argentina. Accentrandosi, o scambiandosi la posizione con Gomez, in fase di possesso modifica lo schieramento dal 4-3-3 al 4-2-3-1. Il portiere, infine: Distratto, sul finale, non copre il palo sul goal che vale il 2-2 alla Roma; attento, per due volte, sul finale, copre la traversa negando a Jorquera e Sampirisi la rete del pareggio.

E poi c’è anche quel che gira tutto al contrario. E che forse è proprio la chiave da utilizzare per comprendere il perché, anziché far clic, la serratura stavolta abbia fatto clac. La traversa, da maledetta a benedetta: Se a Roma, al secondo minuto di recupero, quella di Stekelenburg è decisiva nel negare il goal a Castro, contro il Genoa, stesso minuto, è quella di Andujar a non esser da meno nell’aiutare il portierone argentino a scongiurare la rete del possibile 3-3. Il fuorigioco non ravvisato: A Roma è quello di Marchese, che fa goal, a Catania è quello di Borriello, che sul 3-2 fa flop. Il primo goal, in contropiede: Se a Roma passa per primo il Catania, alla prima azione utile, è il Genoa a far lo stesso contro i rossazzurri. Il goal nel momento migliore: Con la Roma sulle ali dell’entusiasmo da pareggio, alla ricerca di 2-1, è il Catania a passare in contropiede con Gomez; col Genoa, la rete del vantaggio ospite arriva nel momento di massimo predomiio territoriale e propulsione offensiva etnea. La rimonta: Subita a Roma, è il Genoa a subirla al Massimino; ma se a Roma i giallorossi riescono solo a raggiungere gli etnei, il Genoa, passato in vantaggio, si fa superare due volte.

Infine quel qualcosa in più, che è uguale ed allo stesso tempo diverso, non opposto. Quel qualcosa in più che il Catania ha sempre avuto e che riscopre di saper cavar fuori ancora una volta su palla inattiva: Se a Roma la rete dell’1-0 di Marchese ha origine da un calcio di punizione diretto, affidato al dritto di Almiron e fortunosamente carabolato sui piedi del terzino, la rete del 2-1 sul Genova si materializza su preciso schema da calcio d’angolo, precisione che tuttavia sfigura davanti alla perfezione balistica mostrata da Lodi nel calciare all’angolino la punzione del definitivo 3-2. Ma non c’è solo il terreno di gioco, tralasciare il resto, il contesto, significherebbe trascurare la variabile pubblico, che a Catania è invece una costante: Se all’Olimpico il tifo spingeva forte la Roma, al Massimino spinge forte il Catania ma, a differenza di quello giallorosso, quello rossazzurro non si spegne né fischia al vantaggio avversario ma applaude e continua ad incitare, sotto di un gol, sotto la pioggia, mai sottovoce.

Un po’ di questo: un po’ di fortuna e di sfortuna; un po’ di quello: un po’ di precisione, un po’ d’imprecisione; un po’ di quest’altro: attenzione e distrazione; un po’ di quell’altro: prima il coraggio, poi il timore; e di questo e quest’altro ancora. Il Catania è un po’ di tutto. A volte trova in sé stesso le forze, le convinzioni che dalla piazza non riceve, a volte al contrario, è recettivo o refrattario agli sproni del pubblico; a volte trasmette ai tifosi convizioni o paure che non ha, altre, al contrario, si sintonizza sulle medesime frequenze. Il Catania, in fondo, è un po di tutti, è un po’ tutti noi, con i nostri “quando”, i nostri “a volte”, i nostri “sempre”.

E credo, per questo, sia così tanto amato.. da tutti noi.

[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]

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