CATANIA – Contro l’Atalanta, ma soprattutto contro Giannoccaro. Contro tutto e tutti, il Catania si conferma avversario ostico da battere in trasferta, anche per la sorprendente Atalanta che solo in superiorità numerica prende di coraggio, e solo una volta giunta fortunosamente al pareggio crea pericoli reali alla porta di Andujar. Dispiacere, per non aver agguantato una meritata vittoria, anche per aver preso goal sull’unica situazione in cui l’uomo in più non dovrebbe patirsi (calcio da fermo); Plauso alla squadra, per non aver patito la soggezione di un ambiente ribollente (vedi gli effetti sull’arbitro invece), per aver centrato un punto prezioso visti i mutati equilibri della gara.
Grande plauso a Montella, per aver bloccato Moralez senza una marcatura ad uomo ma con sagaci espedienti tattici, aver scelto come coppia offensiva Barrientos e Lopez, lasciando a riposo Gomez e Bergessio, riproponendo Potenza in un 3-5-2 immutato nell’atteggiamento ma che trova, in trasferta, quegli spazi che sono terreno fertile e che in casa solo Izco sa crearsi. Perfetta anche la gestione della gara, e dei cambi, in inferiorità numerica.
Un Catania più maturo, finanche flemmatico. Un Catania molto diverso da quello caratteriale apprezzato quanto criticato nel passato, passato che va dalla stagione del ritorno in serie A fino alla scorsa. Da sempre, insomma. Non schiuma più rabbia quando viene ferito, non si cimenta a testa bassa quando l’avversario si chiude ermeticamente; insomma, una squadra che non smette mai di raziocinare, di credere fermamente nella bontà del proprio gioco, quindi nel proprio allenatore e nei suoi dettami, non ricusando mai la propria identità di fronte a qualsivoglia contingenza.
È questa la ragione che porta il Catania a perdere in casa contro Chievo Verona e Cagliari; squadre chiuse, arroccate, che sanno come imbrigliare le geometrie, le idee altrui di gioco così da portare la gara sul piano del “non gioco”, del singolo episodio che annulla valenza fisica, tattica e tecnica. Ostinato, nel suo modulo e nella sua teoria di gioco, certamente coerente, il Catania cade per due volte, in casa, vittima del “catenaccio”. Difficili da ricordare due (più una in Coppa Italia) sconfitte consecutive in casa.
È questa la ragione che porta il Catania a battere formazioni come Inter e Napoli, che pur hanno mostrato balbuzie sorprendenti anche su altri campi, Lecce fuori casa, ma soprattutto pareggiare contro Juventus in casa, Fiorentina al Franchi, e con ancor maggiore merito a Roma, contro la Lazio ed a Bergamo, in inferiorità numerica contro l’Atalanta. Gare affrontate a viso aperto, tanto dai rossazzurri che dai loro avversari: confronti senza fronzoli, proprio per questo paradigmatici della nuova dimensione assunta, paritaria rispetto a tante “grandi”, inferiore rispetto all’unica, forse, vera grande squadra rimasta, il Milan (che vis-à-vis al Catania ha stampato quattro dita sulla guancia).
Equilibrato sì, ma anche limpido e sincero: con i suoi limiti ed i suoi meriti. Quando perde in casa, quando fa punti in trasferta, senza mai sfigurare, senza mai esser messo sotto (ad eccezione della trasferta a San Siro), senza mai raccoglier più di quanto non sia stato il campo a riconoscere come debito ed anzi, anche con qualcosa a credito. Questo è il Catania di Montella.
È il Catania di Marchese ed Izco, è il Catania di Spolli e Lopez, è il Catania di Gomez e Bellusci. De rappresentanti per ciascuna delle categorie ingredienti della ricetta Montella, è soprattutto il Catania di quel che non c’era ed adesso c’è: È il Catania di Almiron e Legrottaglie, e nel futuro chissà, anche il Catania di Suazo. Giocatori giudicati “finiti” da una piazza scottata da precedenti come Ferrante, Vugrinec, Walem, e che per scelta dirigenziale avallata dall’opinione pubblica, aveva preferito e gioito dei talenti sconosciuti pescati qua e là in giro per il mondo, domandosi però, ogni anno senza risposta, cosa mancasse per il salto di qualità quando parevano essercene tutti i presupposti. Mancava gente come Almiron, Legrottaglie, Delvecchio, Suazo; gente navigata ma che non soffre il mal di terra.
Ma la sola presenza di tutti gli ingredienti non basta a dar il “soffio di vita”. Il vero salto di qualità deve ancora compiersi. L’addì Lo Monaco sostiene che nel calderone vadano gettate le “palle”, Montella ritiene serva la “testa”. Ed allora? Più che nel mezzo, in questo caso la soluzione è l’equilibrio instabile: l’oscillazione su di un punto fermo (il gioco, la propria identità). Saper quando aumentare le dosi dell’uno o dell’altro ingrediente a seconda delle necessità peculiari d’ogni gara.
Qui il Catania gioca la sua partita più difficile, da questo risultato ne dipenderanno molti, altri, in campo. Si inizia subito col derby, una partita dove il cuore, e gli attributi, possono dare alla testa o aiutare la testa..
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]