La loro bellezza è stata raffigurata nei disegni di Paolo Samarelli; la loro perfezione stilistica, ricalcata dalla penna di Gianni Mura; la loro importanza, in termini di classifica, celebrata dall’entusiasmo del pubblico locale ed affermata persino da sparuti, attenti, osservatori nazionali. Oltre l’estetica, bellissima, perfetta, entusiasmante, nelle due reti di Gomez, ad onor del vero, mi par di vedere qualcosa di più. Qualcosa di essenziale, che assomiglia al lavoro di tanto tempo, condensato e magnificato in pochi istanti: che ai sacrifici passati dà senso ed all’orizzonte futuro nuovo rango.
La sintesi di un’idea, concretizzarsi nell’esempio: il gioco di squadra, nel goal.
Un tempo c’era Olivera, poi venne Spinesi, rimase Mascara, arrivò Maxi Lopez. Non una successione, ma una progressiva evoluzione, fino a che, al goal, non ci fosse più solo l’attaccante da abbracciare ma un’intera squadra alla quale stringersi intorno, e dar merito. Non più il singolo ma il collettivo. Il gioco ed i giocatori, un tutt’uno chiamato squadra, gioco di squadra.
É questo che rende grandi i “piccoli”. Un tempo tali in tutto e per tutto, adesso, alcuni, solo di statura: come Gomez, arrivato in silenzio tra i saluti del San Lorenzo. “Ciao Papu” titolò il sito ufficiale della società che ha da poco celebrato il “Papa”. Un piccoletto sconosciuto, che a Catania ha trovato un altro piccoletto, dimenticato dopo un infortunio, il “Pitu”, ed un altro, novellino, il “Pata”, che si presagiva dovesse crescere, ma non si pensava vi riuscisse così bene e così in fretta.
Loro, piccoli da soli, grandi insieme, insieme ai compagni, come loro: un portiere negletto, diventato paratutto. Un terzino destro emigrato in Spagna, e ritornato “muro”. Un centrale troppo vecchio, che vive di nuova giovinezza ed un altro troppo giovane e già esperto. Un terzino sinistro fino a due anni fa scartato dalla B, adesso ignorato dalla nazionale, come un mediano arrivato dal Frosinone, in zona retrocessione, ed a Catania celebrato come Vice-Pirlo. E poi, un centrocampista, preso dalla serie B argentina a mo’ di portaborracce e divenuto capitano, come lui un altro ancora, esperto, scartato dalla Juventus, scartato dal Bari, preso per un tozzo di pane. E questo per restar ai soli titolari, ma in panchina, allenatore compreso, è un altro capitolo dello stesso libro.
Grandi tornati piccoli, piccoli mai stati grandi. Dimenticati od ignorati, scartati, sottovalutati, pesati e bocciati, altrove: non a Catania. Qui c’è qualcosa, non di diverso, ma di unico. Il Catania è così: quattro piccoli tocchi, una grande giocata. Tanti piccoli giocatori, una grande squadra. Perché Catania è così: non trattiene nessuno se questo diventa “complicato”, ma accoglie chiunque abbia il talento della “semplicità”. Il Catania, è così: tanto complicato per chi lo vede, tanto semplice per chi lo vive: come una giocata di prima, come quelle due giocate di prima..
..che sono le giocate più difficili, nella loro essenzialità: Come trovare sempre un compagno vicino, in aiuto. Come affidare lui i propri sforzi, le proprie speranze. Come non aver tempo per calcolare, solo per fidarsi. E scegliere di fidarsi di lui anziché di sé stessi. Ovunque vada il pallone, saranno comunque applausi. Oltre l’esecuzione, lode all’intenzione a quell’idea che prova a concretizzarsi in esempio: il gioco di squadra (l’essenziale del calcio), nel goal (l’essenza del calcio).
Il difficile che appare semplice, il piccolo che appare grande: un prodigio, uno spettacolo estetico possibile solo se è presente l’essenziale: il gioco di squadra, che può questo e tanti altri prodigi ancora.
Per questo, oltre all’estetica, tra tanta celebrata grandezza.. in cui, piccoli, è semplice perdersi, mi va di fermarmi a quelle piccole, semplici cose, che sono e saranno l’essenza della grandezza di questo Catania, se a suo modo, saprà restare.. ci saprà bastare così: essenzialmente piccolo e semplice.
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]