Rivoluzione è il termine sensazionalistico, che ha come effetto il cambiamento, ma come? Prendendo tutto quel che si è fatto e buttandolo via, distruggendolo, bruciandolo, epurandolo; significa ricominciare da capo, punto e basta. Implicita ammissione di un errore grande quanto il tempo dedicatogli che fa tanta “sensazione” quanto più rumore fa quel che si butta.
Evoluzione invece ha sì lo stesso effetto, il cambiamento, ma non sulla base di quel che si è distrutto quanto su ciò che si è costruito. Andare avanti, continuare a crescere dando spazio a quel che, cresciuto, e che si riconosce meriti maggior spazio di quel che occupa, quanto gli è ormai indispensabile per andare avanti, continuare a crescere. Significa progresso, e meriterebbe un approfondimento.
Non si è mai parlato di rivoluzione, ad esempio, quando in una squadra di pallone si osserva l’evoluzione di un ragazzo delle giovanili che cresce, progredisce, diviene un giocatore della Primavera, continua a crescere, a migliorarsi, fino a meritare la convocazione in prima squadra, poi una panchina, poi l’esordio, e crescendo ancora: un contratto da professionista, la maglia da titolare, la fascia da capitano, e perché no? La nazionale!
Ricordarlo fa bene: bravi giocatori, allenatori, collaboratori e/o dirigenti non lo si nasce, lo si diventa giorno dopo giorno sul campo, sul proprio campo. Lo si diventa grazie ai bravi maestri, che più dell’amor proprio nutrono un tale amore verso ciò che hanno creato, o cresciuto, da non aver remore, solo sprone, a far degli allievi dei successori all’altezza di occuparsi di quanto creato o cresciuto, e di esser a loro volta futuri maestri.
Un circolo continuo che non ruota attorno ad una persona ma in cui le persone che ruotano attorno all’azienda sostengono i propri successori determinando così la propulsione verso il miglioramento, la rigenerazione che porta all’autosufficienza mediante la “selezione naturale” basata sulla competenza, perno di ogni evoluzione, anche quella aziendale. Che c’è di rivoluzionario? Che c’è di destabilizzante?
Rivoluzionario è forse che un professionista nato e cresciuto in un’azienda italiana, da un’azienda italiana, ancor più se siciliana, trovi nella stessa azienda lo spazio che solo altrove, se non all’estero, s’immaginava potesse trovare? Destabilizzante è forse osservare la progressiva evoluzione delle capacità in dote a qualsiasi professionista bravo e motivato (sia questo un giocatore, un allenatore, un collaboratore od un dirigente)?
Destabilizzante è semmai la scelta di un’impresa di non dare spazio alla crescita, ma di tagliarla, mutilandosi. E non è certo il caso del Catania. E rivoluzionaria può esserlo l’impresa che rinunci al proprio futuro, alla propria evoluzione condannandosi così per “progetto” all’estinzione, ovvero a ripartire da zero (vedi definzione sopra). E neanche questo è il caso del Catania. Non lo è per chi conosce approfonditamente il contesto da non travisare ne far travisare l’evoluzione con la rivoluzione.
Non c’è nessuna rivoluzione in atto, niente di rivoluzionario in quel che accadrà e nessun motivo per cui l’ambiente debba preoccuparsi quando verranno ridistribuiti spazi e competenze. Domani come in futuro. Perché com’è accaduto, accadrà, e non sarà né presto né tardi, ma a tempo debito, secondo la naturale evoluzione del progetto in cui i maestri crescono allievi all’altezza di succeder loro in tutto e per tutto. A carico del presidente, oneri ed onori di comprendere i tempi, dettarli, forte di una conoscenza che nessun altro osservatore, pur beninformato, può vantare quindi giudicare senza anteporre ipotesi che pur ragionevoli non avrebbero comunque il presupposto della verità che rende notizia un semplice commento.
Evoluzione. Accadrà con i giocatori, con gli allenatori, con i collaboratori, dirigenti e persino col presidente. Bisogna saperlo, sin d’ora, e comprendere come al di là dell’affettività che lega il Catania ai singoli ed i singoli al Catania, sia l’evoluzione il percorso indispensabile perché il Catania sopravviva ai singoli: la testimonianza più nobile di un progetto costruito sui valori e non sugli uomini, che si tramanderà di generazione in generazione almeno finché certi valori troveranno spazio nella coscienza di giocherà, allenerà, collaborerà col Catania, come in quella di chi lo dirigerà, amministrerà e presiederà.. quando sarà.
Ogni essere vivente (ed il Catania, lo ha detto proprio il presidente, lo è) che si opponga all’evoluzione è destinato all’estinzione. Non è una profezia, è storia, è scienza, è il nostro passato. E sentirsi destabilizzati da questa “sensazionale rivoluzione”, oggi, con le conoscenze di oggi, con tutta la storia e la scienza che ci ha portato ad esser quel che siamo oggi, sarebbe in tutto e per tutto ritornare a vivere e ragionare come faceva l’uomo prima della sua evoluzione. “Bisogna uscire da questo piccolo modo di ragionare.. o non ne usciamo più”. Per quanto difficile sia, emotivamente, “purtroppo” ha proprio ragione il presidente..
É un rischio, certo, ma è anche l’unico modo di stare al mondo (del calcio, e non solo) senza far dipendere la propria sopravvivenza da altri se non da sé stessi. É l’unico modo di sopravvivere senza l’affanno di esistere ma con la speranza di evolvere. Così, se tra venti, trenta o quarant’anni riusciremo ancora a parlare di questo Catania, e non della solo memoria di questo Catania (come avvenuto finora, sempre, in passato) sarà ragione solo di questa scelta e merito delle professionalità che nel tempo, questa realtà riuscirà a produrre e che nel tempo si succederanno rigenerandone il ciclo vitale fino a renderlo più che longevo, immortale? É una sfida che si giocherà giorno per giorno, e che è già stata lanciata.
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]
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