Forse per convincere Milan, Inter e Juve a puntare su giovani allenatori serviva proprio l’effetto Guardiola, ma a Catania certe cose non fanno proprio nessun effetto. Che sia per lungimiranza o per necessità che si fa virtù, il profilo del tecnico ai piedi del vulcano è da sempre quello del giovane in cerca di affermazione. Non è servito ispirarsi a venti iberici per tracciare la rotta che sarà pure del prossimo anno, e non può dirsi lo stesso per le tre Genoveffe.
Dispiace parlare di chi siederà sulla panchina e non di chi seduto lo era già, secca parlare ancora una volta di novità e non di continuità. Ma un allenatore nuovo ha molte cose che questa società pretende per sé, come il pregio di accettare con entusiasmo il progetto, quello di accogliere le politiche di mercato sia in entrata che in uscita e infine quello di credere che l’unica garanzia che serva sia proprio la società stessa. Sopra ogni altra cosa, oltre tutto ciò che un nuovo allenatore ha, arriva ciò che non ha: dubbi! Come dichiarato dal Presidente Pulvirenti : “Se un tecnico ha un dubbio su di noi, noi ne abbiamo centomila sul suo dubbio”. Parole che trasudano enorme e giustificato orgoglio, ma anche saggezza. La guida non può avere esitazioni sul progetto. E allora via alla caccia al nuovo mister, parte il toto-allenatore, anzi qualcosa perfino di più dettagliato, un vero e proprio identikit.
INDOVINA CHI! Ha i capelli bianchi? “No” Allora non è Lippi. È pelato? “No, i tignosi tutti al Palermo”. Allora giù pure Ballardini. Attaccatura alta e fronte molto spaziosa? “Possibile … “ allora giù anche De Canio, Ficcadenti e le loro chiome.
Mettiamo da parte un attimo le schede per l’identificazione e proviamo a setacciare se non il mare almeno il “Torrente” di ipotesi riversate sui giornali. Una società non vaglia più di due o tre candidati, avesse fatto un sondaggio con tutti i tecnici accostati alla panchina rossazzurra si chiamerebbe Ipsos e non Calcio Catania. Per rientrare nell’orbita etnea basta soddisfare uno dei requisiti minimi: aver ben figurato in categorie minori, essere un ex rossazzurro o provenire da mercati di rifermento della società. Insomma corrispondere al profilo di uno degli allenatori passati da Catania nell’era Pulvirenti. È una verità plausibile che i profili scandagliati siano in assoluta continuità con alcuni di quelli del recente passato, non con tutti però. Saranno più il proseguimento di quanto ha funzionato. Domare il fuoco del vulcano è un affare per pochi. La nostra è una società che nei fatti ha dimostrato troppa competenza per non sapere meglio di chiunque altro cosa c’è da ripetere e cosa no delle esperienze passate. “L’arte di errare errando” la chiama un grande filosofo.
In ragione di ciò potrebbero essere tagliati fuori dalla corsa allenatori provenienti da categorie inferiori, specie dalla Lega Pro, con poca esperienza ad alti livelli, sia da tecnici che da calciatori. In quest’ottica non rientrerebbe nei canoni della società Torrente, nome affiancato al Catania con insistenza dai quotidiani. L’esperienza del buon Atzori ha dimostrato che esiste un “troppo presto” anche per chi è predestinato. Se è vero come è vero poi, che la dirigenza etnea cerca giovani vogliosi di mettersi in mostra va da sé che Gigi De Canio non parte certo in prima fila.
Dario Marcolin invece resta un candidato che risponde appieno a tutte le richieste, e per di più è già stato allenatore in seconda a Catania, fattore questo che pesa non poco. Pesa perché la stessa marcia di avvicinamento fu seguita già proprio da Atzori, e pesa perché si previene l’intoppo di “piacersi moltissimo da fidanzati e poco da sposati” che ha investito Giampaolo e il Catania.
Poi c’è Vincenzo Montella, l’ex aeroplanino, che pare prendere sempre più quota. Nome questo, che unito agli altri seri candidati, delinea sempre più i contorni di una politica decisa: prendere un uomo di calcio che sappia gestire i contesti esterni al campo almeno se non meglio di quelli interni. Perché con una struttura che funziona non c’è bisogno di inventarsi niente. Perché per dare un’identità di gioco serve una continuità che i fatti mostrano quasi utopistica. Perché per insegnare calcio non basta un maestro, servono anche alunni che si applichino più sul gioco che sulle giocate.
Tuttavia il profilo che meglio calza a tutte le esigenze della società potrebbe essere quello di Nestor Sensini. Giovane, emergente e di grande personalità, da ex calciatore di fama mondiale gode già di credibilità a prescindere, e questo a Catania è quasi condizione pregiudiziale. E’ stato formato dal calcio italiano e potrebbe coniugare dunque l’anima tattica a quella del motivatore. È argentino e, anche se rivoluzione dovesse essere, quello albi-celeste potrebbe restare il tratto predominante della squadra. Infine sembra addirittura fosse stato già contattato a Gennaio prima di Simeone, e i “pallini” del direttore si sa che prima o poi ritornano.
C’è un però. La società ha annunciato una decisa voglia di rinnovamento, che potrebbe aprire scenari differenti con giocatori più “europei” e meno restii ai tatticismi. Cambiare profilo al timone trasformando l’anima della squadra si può, ma se gli acquisti si possono programmare quasi autonomamente, le cessioni le detta la domanda. Il mercato lo fa il mercato, bisogna aspettare. Per scegliere la guida invece, non potremo sedere sulla riva del fiume e attendere, per questo puntiamo conviti sulla strada della continuità, e se non può essere di uomini oggi ci consoleremo sapendola di idee.
[Daniele Lodini – Fonte: www.mondocatania.com]
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