In esclusiva ai nostri microfoni, Pasquale De Vincenzo, ex centrocampista e capitano del Foggia degli anni d’oro targato Zdenek Zeman. Nel corso di questa intervista, De Vincenzo, racconta quegli anni in maglia rossonera sotto la guida del tecnico boemo, facendo anche qualche riflessione sul calcio di oggi, dove in Italia il talento fa fatica ad emergere.
Ciao Pasquale, cosa ci racconti di quel Foggia targato Zeman che ti ha visto anche indossare la fascia da capitano?
“Era un bel Foggia, divertiva e ci divertivano, con Zeman zero ansie ti dava tanta tranquillità. Il mister è una persona umile, oltre che preparata, credo che per un giovane non ci possa essere un maestro migliore. Tra i suoi metodi di allenamento, il più famoso è quello sui gradoni, ma ti posso assicurare che quello era il più leggero(ride). Con Zeman si lavorava tanto e bene. Arrivai al Foggia nell’estate del 1992, ero reduce da un’ottima stagione in Serie C1 con la Reggina, quindi per me fu motivo d’orgoglio esordire in Serie A e approdare in una squadra che in quegli anni si faceva valere nel campionato che allora era il più bello e difficile al mondo, dove militavano tantissimi campioni”.
In quegli anni a Foggia venivano valorizzati tanti calciatori, basti pensare a Rambaudi, Signori e chi più ne ha più ne metta, perciò era una squadra che proponeva un modello di gioco che metteva in risalto le vostre caratteristiche. Sei d’accordo se dico che in quegli anni il Foggia era già avanti?
“Direi di si se consideriamo che per mentalità le squadre di Zeman tendono sempre ad attaccare, noi facevamo un calcio divertente e bello da vedere. Va anche detto che quel Foggia aveva diversi giocatori di qualità, oltre a quelli che tu hai citato c’era anche Biagioni, Kolivanov, Shalimov, Chamot, Petrescu, Roy, insomma tanta roba davvero. Tra di noi ci sentiamo ancora, avendo un gruppo whatsapp dove ci teniamo in contatto ricordando i bei tempi vissuti insieme in quel Foggia”.
La favola del Foggia in Serie A finisce dopo quattro stagioni, con la retrocessione in Serie B nel 1995 che arriva come un fulmine a ciel sereno considerato il buon girone d’andata e il raggiungimento della semifinale in Coppa Italia. Cosa è successo in quella stagione?
“Purtroppo i problemi societari avevano inciso parecchio, Zeman era andato via portandosi alla Lazio alcuni giocatori, perciò dopo un buon girone d’andata ci fu una forte involuzione nel girone di ritorno che non ci permise di centrare la salvezza. Come hai ricordato tu arrivammo fino alle semifinali di Coppa Italia, eliminando l’Inter, ma purtroppo perdemmo la Serie A e da quella volta il Foggia non è più riuscito a far ritorno”.
Parlando di attualità, il calcio italiano mai come in questi ultimi anni vive momenti difficili, con una Serie A non più appetibile e le continue delusioni con la Nazionale. Secondo te quale è la causa di questo declino del nostro calcio?
“Credo che serva lavorare bene nei settori giovanili, dove servono figure che siano capaci a far emergere il talento, invece che rimanere bloccati all’aspetto tattico e quello fisico che può tranquillamente essere migliorato negli anni. Io sono cresciuto in un settore giovanile come quello dell’Inter ed ero allenato da gente che ha vinto di tutto in carriera, perciò ti trasmetteva tanto sia a livello tecnico che mentale. Possiamo prendercela con la FIGC, con il ct o con chi volete voi, ma se non si riparte dai settori giovanili diventa dura poter migliorare le cose. Altro problema in Italia è che si fanno meno figli e i ragazzi non giocano più nelle strade o nei cortili come avveniva ai nostri tempi. Se il Lecce vince lo scudetto Primavera con quasi tutti giocatori stranieri non è certo colpa loro, ma di un problema generazione e sociale che pare non avere soluzione. C’è ben poco da sorprendersi se poi la Nazionale maggiore non va ai mondiali o l’Under 21 non partecipa alle Olimpiadi. Mi è piaciuta l’Under 20 al mondiale argentino, ma quanti di quei ragazzi hanno spazio nelle rispettive società di appartenenza? La gran parte di loro è conosciuta oggi grazie all’ottimo mondiale disputato, quindi c’è tanto da riflettere. Una volta arrivavi nel professionismo per meriti dopo tanta gavetta attraverso un percorso di crescita, oggi invece lo impone un regolamento e non tutti sono pronti a confrontarsi a livelli professionistici. Ai giovani serve tempo e fiducia, poi se sono bravi emergeranno per forza”.
Sei ancora nel mondo del calcio?
“Ho lavorato in diversi settori giovanili, ora vivo a Milano con la famiglia e lavoro nel settore dell’immobiliare. Seguo tante partite, vado in giro per i campi, ma se dovesse presentarsi l’occasione di rientrare con un progetto serio e interessante non ti tirerei di centro indietro”.
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