DIFESA HORROR – Questa è l’Inter di Mancini: illusa per i primi ventiquattro minuti della partita di poter compiere l’impresa per poi essere bruscamente risvegliata dall’ennesimo orrore difensivo combinato dalla retroguardia: palla lunga sull’esterno che sorprende Campagnaro alto a destra, così Ranocchia è costretto ad uscire (giustamente) per fornire la copertura, ma Campagnaro non ripiega verso il centro e Juan Jesus è praticamente fermo quando in realtà dovrebbe marcare gli avversari (o perlomeno uno degli avversari) che stanno penetrando in area di rigore. Risultato? Gol subito e rimonta pressoché impossibile. E non è stata la prima volta che, nella serata di ieri, si era assistito ad un errore grossolano. Pronti via sempre Juan Jesus aveva sbagliato un facile anticipo lasciando poi campo aperto alla folata offensiva tedesca. Letale in più di un’occasione, come ha potuto imparare sulla propria pelle l’Inter. La verità è che Juan Jesus (così come Campagnaro) sono tanto forti nella difesa a tre quanto inadatti se si passa allo schieramento a quattro dietro. Ci sono evidenti limiti strutturali. E se Ranocchia è da qualche partita che si comporta bene, chiudendo con il giusto tempismo e dimostrandosi sicuro negli anticipi, resta più di un dubbio sulle sue capacità da leader. Insomma, la difesa andrà rifatta da capo, a luglio. Con l’unica certezza rappresentata da Davide Santon (bene anche ieri, pur essendosi spento nella ripresa) e Danilo D’Ambrosio, non al meglio ma comunque efficace (più di Campagnaro o di altri terzini che hanno arato la stessa fascia nell’ultimo anno e mezzo).
ATTACCO SOTTO ACCUSA – No, non si salva nessuno. Perché è davvero grottesco avere una quantità industriale di palle gol e riuscire a segnare solo al 70’. Il Wolfsburg non si è dimostrato essere una roccaforte difensivista. Gli spazi c’erano e gli uomini del Mancio spesso e volentieri li hanno saputi cogliere. Ma quando si arriva al momento della verità, ecco che scatta l’errore. Esattamente come succedeva un anno fa con Walter Mazzarri: si arrivava al limite dell’area di rigore e poi non si sapeva più cosa fare. Limite palese mostrato da Hernanes che, dopo aver condotto delle ottime azioni personali, arrivato al limite dell’area di rigore ha sbagliato due volte su due la scelta. Nel primo caso ha servito Palacio in fuorigioco, poi ha preferito la conclusione (con angolo di tiro ridottissimo) piuttosto che servire Kuzmanovic. Al terzo tentativo, ha fatto centro: palla filtrante ancora per Palacio e, a questo giro, rete. Peccato fosse il settantesimo. Sì, è facile parlare dopo la partita, ma da un centrocampista del talento di Hernanes ci si aspetta la giocata decisiva, non un farfugliamento quando il pallone scotta. Così come la punizione battuta sull’uno ad uno ad una manciata di minuti dalla fine della partita, inconcludente fino alla nausea. I calci da fermo potevano essere un’arma utile per sbloccare il risultato, ma tutti i piazzati sono stati calibrati male e finiti nella terra di nessuno. Stesso discorso per Kovacic: primo quarto d’ora in ombra, per poi salire di colpi e tentare con qualche accelerazione di ravvivare la partita. Niente da fare, altra partita negativa per il croato, questa volta usato sull’out di sinistra (nel 4-4-2 della prima frazione) e poi da mezz’ala (nel 4-3-1-2 di inizio secondo tempo). Plauso a Palacio: i suoi movimenti sono spesso sottovalutati, ma è lui a correre fino a perdere il fiato ogni partita, per tutti e novanta i minuti. Da qualche tempo ha riscoperto pure la gioia del gol: sono quattro reti consecutive per il Trenza che si sta confermando uno dei pochi indispensabili nell’attuale formazione interista. Sbaglia tanto, è vero. Ma un giocatore come lui è sempre meglio averlo piuttosto che no. Ma, al di là della nota positiva, la sentenza è scritta: non si può indossare la maglia dell’Inter, tirare 20 volte verso lo specchio della porta avversario e segnare un solo gol.
IL FLUSSO DI COSCIENZA – Arrivati a questo punto della stagione, c’è bisogno di un bell’esame di coscienza da parte di tutti. Società, giocatori e allenatore. Dove sta andando l’Inter? I passi in avanti a livello di gioco e di personalità mossi in questi primi mesi di gestione Mancio-bis non si cancellano, sono stati fondamentali. Non bisogna lasciarsi prendere da facili isterismi e gettare al vento quanto di buono costruito sino ad ora. Ma non basta. Per un’Inter vincente serve altro. Il piano c’è, bisogna seguirlo. Soprattutto, ci sono decisioni importanti da prendere. In primis una rosa da sfoltire perché al momento in casa nerazzurra ci sono troppi giocatori che non possono garantire quelle capacità tecnico-tattiche e caratteriali che una piazza come questa richiede. Parlare di corsa allo Scudetto è francamente irrealistico. I voli pindarici sono un bello sfoggio di fantasia, ma arriva per tutti il momento in cui bisogno fare i conti con la realtà. “Da te stesso non scappi nemmeno se sei Eddie Merckx”, recitava un vecchio film. E sfuggire ad un ottavo posto pensando al mercato estivo non è sicuramente la soluzione ideale. Questi sono i giocatori dell’Inter e da questo gruppo bisogna cercare di ricavare il meglio. Poi arriverà luglio e si delineerà il futuro dell’Inter. D’altronde ci sono tanti modi per fare i conti con se stessi. Che sia attraverso un flusso di coscienza interminabile come quello di Joyce nell’Ulisse o con un’analisi sintomatologica del primo Victor Hugo, l’importante è ritrovare il proprio Tempo Perduto, perché l’Inter da troppe stagioni naviga a vista nella mediocrità della Serie A. E di racconti à la Aureliano Buendia (“è famoso per aver preso parte a 32 rivoluzioni armate e per averle perse tutte e 32”) ne è già piena la storia. Ma l’Inter no: ora c’è bisogno di tornare a vincere.
[Marco Lo Prato – Fonte: www.fcinternews.it]
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