Eravamo arrivati alla serata di ieri con la voglia di non volerne sentire più, di toglierci dalle scatole questo fastidio, di far scorrere novanta minuti cercando di giocarla con orgoglio ma senza nemmeno troppa convinzione di compiere il miracolo. Siamo usciti quasi con le lacrime agli occhi, con la sensazione di aver assistito a un match epico, ad una serata nella quale l’Inter è tornata a giocare in maniera degna del suo nome. Siamo usciti anche mangiandoci chili di gomiti per quella traversa di Palacio, per quel gol divorato da Cambiasso a pochi secondi dal gong dei regolamentari. E col rammarico per quella disattenzione difensiva, che ha portato un Adebayor sin lì poco incisivo a segnare la rete che ha portato il Tottenham, forse meno meritatamente di quello che si può immaginare, ai quarti di finale. Ma ieri sera, l’Inter si è presa gli applausi di tutti, soprattutto del presidente Massimo Moratti. Ma più di ogni altra cosa, l’Inter si è ripresa se stessa, forse nel momento più buio e difficile della stagione.
Diabolico, forse, André Villas-Boas: la sua squadra gioca in pratica solo sette minuti, nello specifico quelli del primo supplementare, creando più di quanto ha fatto nei restanti 113 minuti dove si è divertita a perdere tempo piuttosto che no. Quanto basta agli inglesi per trovare quel guizzo, quella palla sporcata da pochi centimetri, che annulla novanta e oltre minuti di grande spettacolo interista. Giocando con la forza dei nervi distesi, di chi non ha più nulla da perdere, l’Inter sciorina una partita pressoché perfetta, trasformando una serata da scomodo impegno settimanale in una gara che incendia i cuori dei tifosi.
Chi non si è presentato a San Siro stavolta ha avuto torto marcio: si è perso una squadra che più che a Catania ha saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo facendo per una sera il Barça, il Barça della grande remuntada di Champions di martedì. Tutti (o quasi, vero Guarin?), dai bomber Cassano e Palacio, passando per il piccolo Kovacic assolutamente perfetto finché non si deve arrendere ai crampi, per un Chivu che controlla alla grandissima la punta togolese (poche colpe sul gol), per un sempre incredibile capitan Zanetti, fino anche al bistrattato Jonathan che ieri invece si è disimpegnato bene (due diagonali da standing ovation), hanno fatto il loro dovere alla perfezione, riportando l’Inter a livelli che sembravano persi chissà dove. Tutto troppo bello, forse, per poter arrivare all’incredibile miracolo, e infatti il sogno si spezza quando lo sparviero Adebayor mette la zampina che manda il pallone beffardo in porta. Ma anche in quel momento l’Inter aveva reagito alla grandissima. Tutto bellissimo e inutile, ma alla fine è standing ovation.
Forse non è il caso di farsi prendere troppo dal rammarico per le occasioni sprecate tra andata e ritorno, forse era destino che questa squadra pagasse fino in fondo il dazio della prestazione inquietante offerta a White Hart Lane, dove si è vista una squadra che, a parte le chances gettate nell’immondizia da Palacio e Alvarez, era completamente agli antipodi rispetto a quella di ieri sera. Se proprio dopo tutto questo yin, vogliamo trovare un po’ di yang nella serata, forse si può chiedere ai ragazzi perché soltanto adesso hanno deciso di tirare fuori questo carattere; perché proprio quando forse non contava più nulla l’Inter ha cacciato fuori gli artigli mettendo spalle al muro l’avversario come pochissime volte le è riuscito in stagione, mentre in occasioni forse più importanti sono venuti fuori troppi limiti atletici e forse psicologici che sono costati prestazioni imbarazzanti.
E soprattutto, quanto può costare in campionato questo sforzo intensissimo da oltre 120 minuti di partita per il match fondamentale di campionato prima della pausa con la Sampdoria? Perché vanno bene carattere, cuore, orgoglio, determinazione, ma alla fine questa fatica ha portato un’eliminazione e rischia di trascinarsi con le sue tossine nell’ultimo match prima della fatidica sosta, in un gruppo che già non brilla tantissimo per tenuta atletica.
Ai posteri l’ardua sentenza; intanto, fa bene Stramaccioni a parlare di calcio alle critiche, di passo avanti sul piano del gioco, di unità del gruppo. Ma su queste basi non si deve costruire un castello di carta ma un qualcosa di solido per il rush finale dove si può ancora dare un senso a questa stagione. E fa bene Strama a dire di voler mettere i suoi giocatori in frigo per 48 ore. Intanto, però, faccia godere loro gli applausi di un pubblico riconquistato, malgrado l’eliminazione. Perché, e questo è un messaggio anche ai filosofi del calcio, sempre a proposito di cattiveria nei giudizi, questo vuol dire uscire a testa alta…
[Christian Liotta – Fonte: www.fcinternews.it]