FIRENZE – Il calcio d’inizio pare quello di una finale dei mondiali. Quello in cui tutto il peso dell’attesa, come un’onda che incontra la meta, si gonfia, s’addossa, s’infrange, e così libera il suo respiro, il respiro dell’attesa, quel respiro trattenuto per tutta l’estate, tre mesi: mi paiono quattro anni. C’è qualcosa di vecchio sul campo. La croce rossa ed azzurra in maglia bianca. E qualcosa di nuovo. Bellusci titolare, Castro dal primo minuto, Leto, Tachtsidis e Monzon. Tutti gli acquisti di spessore in campo. Uno in tribuna: Cosentino, al fianco di Pulvirenti. Non basteranno quest ultime a cambiar il finale di uno spartito vecchio che ha voluto il Catania prima sfortunato, poi sfiancato.
Sfortunato (Viaggio compreso)
Mano, braccio, comunque uso improprio di un arto che aumenta il volume del corpo. La “prospettiva” inganna Doveri quando c’è da giudicare il tocco di Aquilani che intercetta al limite dell’area l’improvvido esterno di Monzon, ispirando il primo vantaggio viola e la sensazione che per il neo-arrivato terzino argentino non sarà una giornata di ricordare. In più sulla conclusione vincente di Rossi, la smanacciata di Andujar mette fuori causa l’intervento già pronto di Alvarez, sulla linea. Beffa, replicata sul secondo goal, seconda conclusione in porta della Fiorentina, quando Monzon prima si fa bruciare da Cuadrado, poi s’immischia nella traiettoria con cui Pizarro batte per la seconda volta Andujar. La serata no termina sul palo colto da Gomez a porta vuota quando, ancora una volta ingannato dalla “prospettiva”, Doveri non reputa falloso l’intervento di Rossi su Bellusci. Da qui iniziano i limiti del Catania.
Limiti fisici
I più evidenti, quelli mostrati da Monzon, mandato al macello (anche fosse per la ragione più nobile e giusta) contro il miglior giocatore della Fiorentina. La deficitaria condizione dell’argentino non poteva esser una sorpresa, visto il ritardo del suo arrivo a Catania, come quella brillante dell’esterno viola, la stessa ammirata in Europa League. Da aggiungere, quella di Bergessio, apparso molto lontano dall’attaccante di sfondamento, tutto corsa e “garra” visto nel precampionato. Nel secondo tempo, il manifesto alla stanchezza. Nonostante il risultato in bilico, il Catania non riesce a trovare le forze per creare patemi ad un avversario che, comunque, aveva sulle gambe un impegno in Europa League quattro giorni prima e che, forse proprio in ragione di ciò, merita la vittoria al netto di errori e sfortuna avversarie.
(Non) Limiti tattici
Più che mai il Catania di quest’anno offre al suo tecnico innumerevoli soluzioni tattiche. Dimostrazione ne sono le diverse interpretazioni date al 4-2-3-1 come al 4-3-3 nel corso della gara. Maran parla in continuazione con i suoi ragazzi, arretra quello, avanza quell’altro, sposta con profitto i tre trequartisti facendo perdere l’orientamento ai difensori viola e riuscendo, così, anche a trovare il pareggio. Tante idee, che col trascorrere del tempo e l’aumentare della stanchezza si fanno confuse, portando al moto immobile che porta il Catania a macinare gioco senza muoversi mai, con decisione, verso la porta viola. Idee adesso confuse che un domani, quando la lucidità di pensiero si unirà alla freschezza di gamba, diverranno risorse. L’unica azzazzardata, schierare Monzon, in ritardo di preparazione, contro Cuadrado. Più logica quella vista nel secondo tempo, la cui adozione denota onestà ed umiltà da parte dell’allenatore.
Errore
Errore che determina buona parte del risultato. Errore che per le stesse doti di umiltà ed onestà mostrate tra primo e secondo tempo, gioverà nella preparazione della gara contro l’Inter. Vale il precedente di Alvarez, così per il tecnico, che giudica dall’interno, come per chi è chiamato a giudicare dall’esterno. La scorsa stagione il Pablo Alvarez visto a Roma era ben diverso da quello visto a Firenze: appesantito, fiacco, riproposto in campo nelle gare seguenti, con fiducia ed ostinazione, esposto così a critiche rudi quanto realistiche. Fino alla panchina, fino a riproporlo in campo per necessità e farlo riscoprire necessario tanto visto dall’interno che visto dall’esterno. Vale il precedente più remoto di Lodi, frustrato e scontroso al termine della gara contro il Cittadella, la prima in cui venne chiamato a regolare la manovra rossazzurra, Vale per Tachtsidis. Vale però anche considerare che lo scorso anno, tante alternative come quest’anno, Maran non le aveva.
Morale della favola
É questa la fortuna dalla quale il Catania può e deve ripartire, è questa l’unica fortuna sulla quale il Catania potrà contare: non quella della dea che “benda” arbitri e guardalinee, ma quella che anno per anno ha saputo costruirsi con sudore, sacrificio, impegno e tutte quelle doti che la sconfitta contro la Fiorentina ha ricordato essere indispensabili a questo Catania, come lo sono state per ottenere qualsivoglia risultato, ottenuto o mancato, a tutti i Catania che l’hanno preceduto. E quando un po’ la sfortuna, un po’ la fatica, un po’ le novità s’intromettono tra le buone idee e le qualità di sempre, capita di sbagliare e perdere ma non capiterà di ripetere gli stessi errori. In fondo, a pensarci bene, a questo Catania basterebbe riuscire a non ripetere gli stessi errori dell’anno scorso per migliorarsi: specie pensando all”Inter che ritorna al Massimino; specie pensando ad un anno di reciproca conoscenza, che dovrebbe voler dire fiducia, sia che si guardando da dentro che osservando da fuori.
Nessuno ha detto mai che sarebbe stato facile, ma che mai più di adesso è qualcosa di possibile.
[Marco Di Mauro – Fonte: www.mondocatania.com]