Un calcio come quello italiano che passa l’estate a subire eliminazioni in serie, dal Thun, dallo Slovan Bratislava, e anche dall’Arsenal che dopo aver sballottato l’Udinese subisce 8 gol dal Manchester United, un calcio che pareggia con il Vaslui, non dovrebbe fare le pulci ad un 2-2 che fa notizia in tutti i continenti. Soprattutto se ottenuto da una squadra in emergenza infortuni, il Milan, contro una squadra di un’altro pianeta, il Barcellona, che per affrontare i rossoneri aveva fatto riposare i suoi campioni più importanti nella precedente partita di Campionato contro la Real Sociedad. Ma questo, purtroppo, è un calcio che non sa apprezzare e che non sa valorizzare.
La cultura è quella di denigrare l’avversario che gioca, e il più delle volte perde, in Europa, senza capire che quella sconfitta è anche di chi sfotte, di chi giudica, di chi sbeffeggia. Ma quel che è peggio è che se una squadra, in sofferenza ma sempre organizzata e lucida, ottiene un risultato grande così al Camp Nou senza prendere sette gol (la Roma a Manchester), oppure senza prenderne cinque (l’Inter in casa con lo Schalke), quattro (il Milan a Manchester) o tre (la Roma in casa dallo Shakhtar o la Juventus in casa dal Bayern), in giro si tende a fare gli schizzinosi. Eppure il Milan, per arrivare al suo risultato, ha goduto sì di una discreta dose di fortuna, ma non sorretta dalle risse verbali, priva di falli gravi, lontana da ostruzionismi plateali. Ma il Milan è una squadra italiana… se fosse stato Mourinho a fare quel 2-2, tutti a elogiare il cinismo e la concretezza di un allenatore carismatico capace di ridurre al minimo le occasioni da rete di una squadra di marziani. Peccato, occasione persa per tutti, questo 2-2.
Invece di cogliere il segnale, si è trasformato in giudizio di scherno (Che Cuore! Ha titolato qualcuno, con un “ore” di troppo), forse, il fastidio, il dispetto per quella goleada a favore del Barcellona che tutti pronosticavano e che invece, magari clamorosamente ma non scandalosamente, non è arrivata. Autolesionistico e superficiale, è l’autoritratto che si è regalato il calcio italiano nel commentare la prestazione di Barcellona. Eh, ma vuoi mettere il Napoli, si sono scatenati quelli che la sanno lunga…Certo, grande, bravo e ottimo Napoli. Peccato che gli azzurri fossero al completo, formazione-tipo senza infortuni, e impegnati contro un avversario meno forte di tre tacche rispetto al Barcellona.
Pensavo che Gigi Buffon, persona splendida e grande campione, avesse imparato a stare lontano dalle iperboli. Un paio di stagioni fa, nell’annata in cui la Juventus si sentiva pronta per lo Scudetto dopo gli arrivi di Diego e Felipe Melo, aveva parlato di “esplosione nucleare” bianconera dopo un successo, 5-1, a Torino contro la Sampdoria. Poi le cose andarono così male che più male non si può. Pazienza. Gigi però è tornato ad usare parole grosse. Dopo Juventus-Parma, parlando di Andrea Pirlo, ha fatto riferimento all’esistenza di Dio. Sono voli pindarici che fanno parte di un personaggio solare e non costruito, ma non sono un po’ avventati? Pirlo ha fatto moltissime partite, nei suoi anni di Milan, sugli stessi livelli di Juventus-Parma, ma giornali e tv le pesavano infinitamente meno, almeno un voto in meno.
Non le esaltavano, almeno in pubblico, nemmeno i suoi allenatori e i suoi compagni, così abituati alla qualità di Andrea e dei tanti campioni esibiti dal Milan negli ultimi dieci anni. Facezie mediatiche a parte, c’è un rischio su quanto ha detto Gigi. Più la Juventus indica in Pirlo il suo catalizzatore, la sua eccellenza, più gli avversari ci staranno attenti. Lo aspetteranno, lo marcheranno. Il gioco vale la candela? Anche perché, per una squadra nascente e tutta da costruire come la Juventus, legarsi troppo al giocatore più insostituibile del mondo può essere un azzardo, dovesse scapparci un raffreddore lungo il cammino. Ipotesi futuribili a parte, la Juventus mi ha nettamente smentito. Contro il Milan a San Siro e il Notts County, mi era sembrata tutto il contrario di quanto ha dimostrato contro il Parma. Nella squadra bianconera è scoccata la scintilla. In attesa di sapere se e quanto durerà, una sola parola: Chapeau!
Dopo Palermo e Trabzonspor, sono saliti in cattedra Zanetti e Cambiasso. Mettono la faccia per tranquillizzare i tifosi, difendono l’Inter, respingono gli attacchi. Ai primi passi incerti di Benitez, esattamente un anno fa, non lo avevano fatto. Non si erano spesi. Per Gasperini, invece, sì. E questo spiega qualcosa sulle alleanze interne e sulle preferenze del gruppo argentino che vanta la maggioranza relativa dello spogliatoio. Non è ancora la salvezza per Gasp, ma una sfumatura comunque importante. L’anno scorso fu la squadra a sfiduciare al pronti via il tecnico spagnolo e l’onda lunga si è propagata dallo spogliatoio verso la sede sociale. Quest’anno il percorso sembra inverso, ma pur sempre tortuoso per il tecnico. Le prime perplessità sono nate in società e, nonostante la tutela di Zanetti e Cambiasso, sono sul punto di propagarsi all’interno della squadra. Usiamo termini parlamentari, per descrivere la situazione dell’Inter. E probabilmente non è un caso. Lo scoppio della democrazia, dopo le dittature, può essere un problema. E che Mourinho sia stato un dittatore capace di comprimere e compattare tutto ciò che, oggi all’Inter, è in libera uscita, appare abbastanza ovvio. Il fatto è che il dopo Mourinho in casa nerazzurra è stato tutto un susseguirsi di tensioni, errori e leggerezze che costituiscono l’attuale momento degli ex campioni d’Italia ed ex campioni d’Europa. E nonostante l’impegno presidenziale, non si vede all’orizzonte nessuno in grado di costruire il dopo del dopo. Vincere con la Roma basterà?
[Mauro Suma – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]