Se c’è un allenatore che ha un posto particolare nel cuore dei tifosi friulani quello è Giovanni Galeone.
L’ultimo tecnico a guidare l’Udinese in Serie A e l’ultimo a salvarla da un’eventuale retrocessione. Il “Profeta dell’Adriatico” non ha mai fatto mistero delle sua passione per un calcio spettacolare votato all’attacco. Partite frenetiche, giostre del gol e pochi compromessi. “Ricordo di una gara ad Acireale, nel finale di campionato, era la stagione 94/95, quella della promozione – racconta divertito il tecnico partenopeo -, nel prepartita il presidente Pozzo era un po’ preoccupato per il nostro modo di giocare sbarazzino e intraprendente, ma io lo tranquillizzai, gli dissi che saremmo usciti con i tre punti in tasca e così fu. Il rapporto con Pozzo è sempre stato di fiducia e stima reciproca. Grazie al Paron ho sempre potuto lavorare in tranquillità e con serenità, le squadre che ho allenato hanno raccolto sul campo anche i frutti del suo lavoro”.
Una promozione centrata ad Ascoli con una gara di anticipo sulla fine del campionato.
“I marchigiani nutrivano ancora qualche flebile speranza di salvezza, ma noi eravamo calmi e determinati. Affrontammo l’intero finale di stagione con grande serenità, ad Ascoli arrivò solo la matematica certezza del salto di categoria. Avevamo compiuto l’impresa poche giornate prima col Lecce rimontando in casa due gol di svantaggio e vincendo per 3-2”.
Una squadra che con la premiata ditta Pizzi-Poggi viaggiava a pieni giri.
“Loro erano due pedine importanti dello scacchiere, ma quella era una squadra di categoria superiore: Carnevale, Desideri, Helveg, capitan Calori, Kozminski, Rossitto, Bertotto, Scarchilli… Un gruppo di qualità incredibile che fece le fortune del mio successore Zaccheroni. Io arrivai in panchina a novembre e la squadra passò al giro di boa con 28 punti. Nel ritorno ne conquistammo 42 terminando ad un solo punto dal Piacenza capolista”.
Poi il ritorno nel 2006 per salvare una squadra che a otto giornate dalla fine vedeva materializzarsi lo spettro della Serie B.
“Non fu un’impresa salvare le zebrette. Quei ragazzi avevano giocato la Champions League e non potevan retrocedere. Nelle otto partite mancanti conquistammo 15 punti andando a vincere gli scontri diretti a Livorno e Lecce”.
Da chi ha preso ispirazione per il suo 4-3-3 così offensivo?
“Mi sono sempre piaciute le squadre di Liedholm per il concetto di calcio che il tecnico svedese portava avanti. Io non puntavo tanto sul possesso palla, quanto sulla rapidità di manovra nel ribaltare le azioni, mi piaceva vedere una squadra avvolgente con gli inserimenti dei centrocampisti e delle ali. E poi c’era la zona, forse allora la praticavano solo due squadre in tutta Italia”.
Non solo Udine nel suo curriculum, anche esperienze importanti a Pescara, Perugia e Napoli.
“Piazze diametralmente opposte a Udine, ma di cui conservo bei ricordi. Non posso dimenticare quando il Pescara neopromosso vinse a San Siro contro l’Inter per 2-0 alla prima giornata di campionato. Fu un bel biglietto da visita”.
Si può dire che è stato il maestro di Allegri?
“Non credo. Ho lavorato fianco a fianco con l’attuale tecnico del Milan e spero di avergli insegnato qualcosa, ma Massimiliano si è costruito le sue fortune con le sue mani, prima a Cagliari e adesso a Milano. Quando vedo i centrocampisti rossoneri inserirsi coi tempi giusti mi viene da sorridere”.
Che ricordi conserva della sua carriera da calciatore?
“Ero uno che non sporcava mai la maglia, nemmeno quando pioveva, una mezzala molto tecnica che non correva tantissimo, ma che sapeva cosa fare col pallone tra i piedi. Mi paragonavano a Metzer, il capitano della Nazionale tedesca”.
[Sito Ufficiale Udinese Calcio – Fonte: www.udinese.it]