Strano calcio parlato quello italiano. Se dopo tre mesi di campionato c’è una squadra prima in classifica e dietro il vuoto, con nessuna avversaria in grado di tenersi a distanza di sicurezza, lo chiamano campionato livellato verso l’alto. Se dopo gli stessi tre mesi, invece, ci sono ben sette squadre che, a suon di gol e di vittorie, di campioni e di sfide equilibrate, sono in grado di cullare delle ambizioni, lo definiscono campionato livellato verso il basso. Insomma, il giornalismo sportivo italiano preferisce un calcio con Ibra e Vieira in vetta e dietro il nulla scandito dalle macerie di Calciopoli, ad un calcio con almeno sette squadre che si sono ricostruite e rafforzate negli anni, con Ibra che ha cambiato squadra con entusiasmo ma che non è più solo, con Krasic e Aquilani che rispondono a Totti e Menez, con Pastore e Miccoli che si misurano con Cavani e Lavezzi, con un super Eto’o che vede davanti a sé una squadra, la Lazio di Hernanes e Zarate, che l’anno scorso era dietro.
Ci sono campioni e pezzi pregiati in tante squadre, altro che livellamento verso il basso! E alla considerazione, con tutto il rispetto peregrina, che quest’anno la capolista ha 30 punti mentre l’anno scorso ne aveva 36, la risposta è disarmante e scontata in tutta la sua ovvietà: quest’anno ci sono più squadre di alto livello, ognuna, nessuna esclusa, con le proprie individualità di spicco, e la ridistribuzione dei punti è una conseguenza di un livellamento verso l’alto… Lunedi’ sera allo stadio Camp Nou di Barcellona si è giocata una partita piuttosto interessante fra gli ultimi due allenatori di Zlatan Ibrahimovic.
Si sono giocati la sfida clou del girone d’andata in campionato, i tecnici che grazie a Ibra hanno vinto gli ultimi due titoli nazionali: Josè Mourinho in Italia nel 2008-2009 con 25 gol dello Svedese e l’allenatore-filosofo Pep Guardiola in Spagna nel 2009-2010 con 16 gol dello stesso Svedese. Nessuno può sapere se, con Ibra in campo, il tecnico portoghese sarebbe stato in grado di evitare la mattanza. Certamente avrebbe sofferto meno di asfissia, perché lassù il suo attacco non ha tenuto una palla e il Barcellona è sempre stato in condizione di ripartire senza dover scalare nessuna montagna. E Ibra, se non altro quando protegge la palla, è in effetti una montagna.
E allenatore-filosofo? Se avesse avuto Ibra, lo avrebbe utilizzato? L’anno scorso, stessa partita e stesso stadio, lo ha fatto: risultato 1-0 per il Barcellona, gol dello Svedese. Ergo, negli ultimi due campionati il Barcellona ha vinto la sfida casalinga con il Real Madrid sia con Zlatan che senza Zlatan. Il discrimine, dunque, non è lui. C’è chi ritiene invece che il favore più grande a Guardiola lo abbia fatto lo stesso Mourinho con le sue sparate pre-gara. Proprio Guardiola era in campo ad Atene, il 18 Maggio 1994 in Finale di Coppa dei Campioni, quando le spacconate di Cruyff avevano caricato a pallettoni il Milan di Capello contro di lui e contro i suoi compagni. Epoche diverse e calcio diverso, ma Mourinho ha fatto ai giocatori di Guardiola lo stesso effetto che il Profeta del Gol fece ai giocatori di Capello. Dal lunedì del Camp Nou in poi, saranno sempre di più le squadre che sceglieranno di giocare la partita della vita contro Mourinho. Dite che questo è quello che vuole lui? Può essere, ma prepari meglio le partite perché, vista Barcellona-Real sul piano tattico prima che al pallottoliere, o si è dimenticato di prepararla o la sua parabola discendente è già iniziata.
Chi liquida lo sciopero annunciato dei calciatori italiani, come uno schiaffo alla miseria o una beffa nei confronti di chi riduce le proprie ore di presenza alla catena di montaggio a causa della cassa integrazione, prende un granchio. La definizione di questa agitazione alla stregua di una serrata dei miliardari, traslazione dello sciopero dei milionari di fine anni Sessanta, con tutto il codazzo di aforismi a sfondo etico e soprattutto a buon mercato che ne consegue, fa una concessione inopportuna alla demagogia. Ma, soprattutto, buca nettamente la materia del contendere. In quel di Milanello, fra una considerazione su Mario Balotelli e una sull’attaccante comunitario forte che potrebbe rinforzare il Milan a Gennaio, facendosi serio, Adriano Galliani nè ha parlato dì differenze sociali né ha fatto ricorso a pistolotti sui valori della vita.
Papale papale, ha detto che: le società maggiori pagano sulla propria pelle i costi del calcio e i venti di crisi, ma nelle istituzioni del calcio non hanno un peso adeguato; l’associazione calciatori si regge economicamente sui diritti derivanti ad esempio dalle figurine e poi fa maggioranze con la Lega di C e la Lega Dilettanti dicendo alla Serie A cosa deve fare; la Lega di Serie A non può essere la componente meno pesante in termini di voti all’interno del Consiglio Federale; che la vera materia del contendere, datata e radicata, risale all’aggiornamento post-Mondiale della legge sugli extracomunitari. E’ questa la vera materia del contendere, sono i rapporti di forza ai vertici, è la politica di indirizzo del calcio italiano, la discussione è su chi deve contare di più, come e perché, al momento di prendere decisioni di fondo. E’ tempo perso fare letteratura sul calciatore viziato che incrocia le braccia, ed è fatica sprecata ragionare sui due punti su otto. Lo smottamento ai vertici del calcio italiano è serio e non riguarda nemmeno la contrapposizione Società-Calciatori. Se dirigenti navigati, a richiesta di commento sulla vicenda dello sciopero, citano il presidente del Coni e non quello della Figc, significa che il calcio italiano in bilico sul cornicione della crisi globale chiede che la sua guida sia forte e coraggiosa. Tutt’altro che democristiana, con tutto il rispetto, e tutt’altro che temporeggiatrice.
[Mauro Suma – Fonte: www.tuttomercatoweb.com]