Sebbene sia da due anni la normalità, che ogni frase proveniente dalla dirigenza si trasformi in fatti opposti, assistere all’inversione delle parti tra Carpi e Catania è stato qualcosa di grottesco. Un capolavoro che il destino ha scelto di rappresentare, come meglio non avrebbe potuto, attraverso l’immagine che ha messo a paragone la capacità di sapere fare tanto con poco a quella di non sapere combinare nulla nonostante le tante “risorse” sbandierate qua e là.
Una piccola squadra di provincia, costruita con pochi quattrini, che la stagione scorsa rischiava di retrocedere, mai promossa oltre la B e che gioca in uno stadio meno capiente di qualsiasi settore, a scelta, del Massimino, ha fatto quello che non è riuscito a fare il Catania. Il club etneo aveva chiuso terzultimo lo scorso torneo di A, rappresentava quindi virtualmente già in partenza la squadra più forte del torneo di serie B. Irrobustita poi, per giunta, da giocatori come Rosina e Calaiò, in grado da soli di rendere qualsiasi squadra cadetta una seria pretendente alla serie A.
Bravo Carpi, riuscito in un’impresa che per il Catania doveva essere una passeggiata.Già, ma ciò non spiega perché il Catania non solo non abbia saputo fare il Catania ma, addirittura, si sia ridotto a fare il Carpi. Salvo dalla Lega Pro solo all’ultima giornata. Traguardo che non può essere considerato obiettivo minimo. É un passo indietro di dodici anni. Impossibile festeggiarlo. Men che meno di fronte all’ennesima beffa ed al prolungarsi dell’assenza di ogni spiegazione e presa di responsabilità da parte della dirigenza del Catania.
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