É forse arrivato il momento di chiarire un concetto: la sfortuna non esiste. Quando parliamo di sfortuna, parliamo del nulla. Una mia insegnante al liceo mi spiegò che è una pessima abitudine quella di scrivere la parola ”cosa”. C’è sempre un termine adatto a ciò che vogliamo esprimere scrivendo ”cosa” e vale la pena rintracciarlo. Tante cose, tutto e niente. ”Quel tale dice tante cose”, ovvero esprime opinioni, idee. Non ”cose”.
Lo stesso ragionamento va mutuato per il termine ”sfortuna”. E in questo caso, più che di vocabolario, si parla di concezione di realtà nuda e cruda. Cos’è la sfortuna? Potremmo dire che, nell’immaginario generale, è paragonabile al destino: concetti astratti, futili, inafferrabili logicamente. ”Era destino che…”, ”Un colpo di sfortuna!”: c’è da rabbrividire. Passi per il parlato comune o per una discussione privata, ma quando queste teorie scavalcano le quattro mura e arrivano sui mezzi di informazione, vuol dire che qualcosa non va e che certi vezzi vanno estirpati.
E allora l’Inter che perde in casa con l’Atalanta diventa solo una ”partita sfortunata”. E si portano anche degli argomenti (?) a sostegno di tale tesi, come ad esempio i quattro legni colpiti dai nerazzurri. Come quantifichiamo la sfortuna? Che cos’è? Che gusto ha? Non scherziamo. Se Palacio coglie la base del palo, se Guarin scheggia la traversa, se il pallonetto di Jonathan termina la sua corsa sulla parte bassa della traversa e se il tiro di Icardi respinto da Raimondi picchia sul palo non possiamo parlare di sfortuna. Il motivo? Semplice: c’è sempre una qualche dinamica che non vogliamo/riusciamo a vedere e che poi chiamiamo sbrigativamente ”sfortuna”. Nel caso di Inter-Atalanta, quella che qualcuno chiama ”sfortuna” in realtà è imprecisione. Guarin, Palacio, Jonathan e Icardi, di fatto, sbagliano mira. Di centimetri, di millimetri, di metri: non cambia nulla. Mira sbagliata. Punto. E se gli avversari su 4 tiri ne azzeccano due, bravi loro.
Questa idea della sfortuna è troppo soggettiva e, dandola per buona, potremmo giustificare tutto con la sfortuna. Ma proprio tutto, niente escluso. E invece parliamo del nulla senza accorgercene. ”Arbitro sfortunato, non vede il rigore”: falso, è un errore non vedere un fallo. ”Sfortunato, si è fatto male al ginocchio”: falso, ha messo il piede in una buca e ha subito una distorsione. Di questo passo, un giorno, potremmo sentire: ”Ha tradito la moglie, ma in realtà è stato solo sfortunato a incontrare una donna più bella di lei”. Rendiamoci conto del ridicolo. E della deriva.
E allora niente alibi. Sarà il caso che Mazzarri e i giocatori cerchino di eliminare le proprie sbavature e aggiustare la mira: solo così si riducono gli errori e si limitano le brutte sorprese. Da qualche parte ho letto: ”Se non puoi uscire dal tunnel, arredalo”.
[Alessandro Cavasinni – Fonte: www.fcinternews.it]