Sicuri di restare in nerazzurro solo Javier Zanetti, Walter Samuel, Esteban Cambiasso e Diego Milito. Non si può dire altrettanto di Cristian Chivu e Dejan Stankovic, i due pezzi storici dell’Inter campione di tutto che potrebbero dire addio in estate.
Tante se ne sono dette sui senatori. Si è detto che esiste il Clan dell’Asado, si è detto che all’Inter c’è chi ruba lo stipendio, chi decide al posto dell’allenatore, si è parlato di poteri occulti, di un Moratti intimidito e talvolta addirittura ostaggio. Solite porcherie, che trovano l’humus ideale nel tifoso italiano (e soprattutto interista) quando le stagioni vanno male e le vittorie diventano solo ricordi.
Ecco, appunto: i ricordi. Vivere solo di ricordi non fa certamente bene, ma allo stesso modo non è giusto cancellare tutto in nome di un fantomatico cambiamento radicale. Quello che siamo oggi deriva da ciò che eravamo ieri. Errori compresi. Gettare fango gratuito su chi ha costruito la storia e la leggenda dell’Inter è davvero un giochino sporco e vigliacco. Insultare senza colpo ferire calciatori che ci hanno regalato momenti indimenticabili, pagine di storia, è un qualcosa che non potrò mai condividere né accettare.
Riconoscenza non vuol dire tenere in rosa gente fino a 50 anni o pretenderne la titolarità solo per lo status di ‘anziano’. No. Riconoscenza vuol dire gratitudine e rispetto per chi ha onorato la maglia, anche e soprattutto nelle sconfitte. Il giudizio tecnico è altro, perché “quando hai dato troppo devi andare e fare posto”, come cantava Luciano Ligabue. Corretto quindi il processo di mutamento che la società ha messo in atto con decisione da un paio di stagioni. Praticamente, l’Inter che fu di Mancini e poi di Mourinho non esiste più e solo chi è in malafede non lo vede.
Ma la storia va rispettata, non calpestata. Troppa frenesia, troppa playstation, troppa pay-tv. Eppure poi, quando vediamo il religioso rispetto che, ad esempio, si ha in Premier League per le leggende del passato restiamo tutti a bocca aperta, estasiati e affascinati dall’aria di storia che si respira. E ci chiediamo: “Ma perché non siamo come loro?”. Ecco, domandatevelo. E, nell’attesa di una risposta che vi soddisfi, non sputate in faccia a chi vi ha fatto piangere di gioia e lo fa tutt’ora, quando in tv scorgete le repliche della finale di Madrid. Questa si chiama riconoscenza, da non confondere con la nostalgia o la miopia.
[Alessandro Cavasinni – Fonte: www.fcinternews.it]
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