Manca un passo. La valigia è pronta, il capello è fresco di taglio come sempre, adesso manca solo un semplice passetto e Mario Balotelli lascerà l’Inter, per diventare un giocatore del Manchester City. Il suo papà calcistico, Roberto Mancini, lo aspetta sorridendo perchè sa di aver preso un probabile, futuro campione. Ma nell’attesa, dovrà convivere con una potenzialità, cosa mai facile, che non sempre si avvera. Se poi si parla di Mario Balotelli, c’è qualche dubbio ancora in più.
“Perchè non cambi quella maledetta testa, Mario?”, gli chiedevano l’altro giorno. “Non mi va, mi annoio”, la risposta. Ci siamo, signori: nulla è cambiato dalla notte infernale, la vera notte che ha dimostrato l’immensa, forse irreparabile immaturità di questo ragazzino che di Javier Zanetti è l’opposto, quel 20 aprile di Inter-Barcellona. Quella era non una grandissima partita, bensì la partita. Un San Siro così roboante, una squadra così gagliarda non si vedevano da anni. Giocatori che macinavano chilometri pur consapevoli di non avere benzina e gente che sputava sangue, e anche denti come Maicon, su quel campo che sembrava dipinto per l’Inter, per fare di quella notte, la notte, com’è stato.
Ieri ho voluto rivedere la partita per l’ennesima volta con grande calma, mente fredda. In particolare, con una curiosità: rivedere quei venti minuti di partita giocati da Mario Balotelli, quelli che hanno scatenato un putiferio. Dopo aver visto 73 minuti di calcio allo stato puro, è il 74esimo e Diego Milito chiede aiuto: ha i crampi, non ce la fa più, ci mancava poco e andava a pressare anche i fotografi. “Cambio mister, cambio” dice a Mourinho che aveva preparato la sostituzione da qualche minuto, salvo poi retrocederla per l’imminente ingresso di Chivu al posto dell’infortunato Maicon, e già lì Mario si era spazientito come a dire: “Mi prendete per…?”. “No, Balotelli, nessuno ti prendeva per dove pensi tu: è che non puoi fare il terzino, e lo sai”, sembrava volesse rispondere Josè. Non si poteva turbare tutto, però: la serata era magica, servivano forze fresche, quindi niente parole e tanti fatti. Fuori Milito, dentro Balotelli. San Siro vuole credere in lui, a patto che si accodi agli altri dieci gladiatori e faccia legna più di tutti, perchè è quello più carico, fresco.
Primo pallone, recupero: boato del Meazza, sradicata una palla preziosa dai piedi di Busquets. Seconda giocata: prende un pallone nella sua area, salta netto un uomo e fa un sombrero a Xavi, mica roba da ridere. Poi la perde, e non recupera. Ma San Siro applaude, queste giocate ci stavano in quel momento. Era il 76esimo, da quel momento in poi l’Inter ha giocato la partita della vita con un uomo in meno. Passeggiava, Mario: la sua area di ‘gioco’ si poteva riassumere in un rettangolino nel quale si muoveva lento, facendo ogni tanto il gesto di provare a prendere il pallone quando arrivava dalle sue parti. Senza mai prenderlo realmente. Le scene eloquenti sono due, in questi 16 minuti più recupero di 4: la prima è quando Javier Zanetti, autore dell’ennesima partita mostruosa, scalato sulla destra al posto di Maicon infortunato chiede di coprire l’uomo su una rimessa laterale mentre lui si occupava di quello affianco. Fa segno a Mario che non si degna, arriva Cambiasso e Zanetti lancia un’occhiataccia. Questione di rispetto. L’altra, è quella decisiva. L’Inter può ripartire per fare il 4-1, contropiede veloce, 84esimo minuto, ma Mario sbaglia il lancio decisivo: la gente s’indispone non per l’errore, ma perchè continua a non coprire per niente durante l’attacco di Messi e i suoi amici marziani. Lui passeggia ed è nervoso, finchè non ha la palla della vita sul destro, poco dopo: tiro al volo, fuori, esplosione.
E’ accaduto ciò che tutti sappiamo, ha mandato ‘tutti’ quelli della Curva al paese loro, ma la scena va vista così. Eto’o va subito a chiedere alla gente nerazzurra di non infierire, mentre Balotelli porta a spasso il cane nel cerchio di centrocampo. Subito dopo, il camerunense, uno che ha già vinto la tripletta l’anno prima e che in cinque anni di Barcellona ha messo dentro 108 gol, vede che il compagno continua a camminare, abbassa la testa e dopo aver corso instancabilmente per 85 minuti si fa tutto il campo per rincorrere Keità. E’ questa la vera scena. Intanto Balotelli getterà la maglia a terra e si meriterà ciò che avrà dopo, ma dopo questi venti minuti d’inferno, l’immaturità si è ormai palesata, e giustifica pienamente la mossa dell’Inter. Questo è il quadro perfetto che giustifica la cessione di un campione potenziale, di un condizionale vivente, di un ragazzino che lo sport, purtroppo, deve ancora capire cosa sia. Se in Inghilterra qualcuno non lo conosce ancora bene, non si faccia raccontare solo le prodezze di questo assoluto talento, ma si riguardi quei venti minuti. Se l’avesse fatto con Ferguson, sarebbe dovuto fuggire nel dopo-partita. Invece no, la colpa è del cattivo Mourinho.
L’addio di questo ragazzo potrà essere un suicidio, ma per ora sarà un bene. Gli auguriamo di spaccare il mondo, ma personalmente mi espongo: non sono così certo come una volta che potrà farlo. La testa conta, nel calcio. Soprattutto in quello moderno. Perchè d’altronde, quella notte era questione di maturità, mancata, e rispetto, non dato, a quei compagni che lottavano come se si giocassero la vita e a quella gente che lottava insieme a loro. E al termine di una partita così, dopo tutto quello che hai combinato in campo, getti per terra la maglia della squadra che ti ha cresciuto? Ancora non riesco a pensarci. Prima di dare un diploma in ragioneria bisognerebbe crescere uomini rispettosi, nelle scuole. Non ci sono riusciti i professori, non ci sono riusciti compagni come Eto’o e Zanetti, non ci è riuscito Mourinho. Non mi resta che dire buona fortuna, Mancio: ma sappi che non sarà facile, con questo diavolo in squadra, nel senso buono e cattivo del termine. La potenzialità di uno che può spaccare il mondo, se volesse, e la testa di un altro che può spaccare soltanto se stesso.
[Fabrizio Romano – Fonte: www.fcinternews.it]
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