Due epoche, due scenari, e, almeno per il momento, due carriere differenti. Ma uno stesso, identico frame, che a oltre 30 anni di distanza può avere lo stesso significato importantissimo: il 5 luglio del 1982, allo stadio Sarrià di Barcellona, lì dove oggi si staglia un centro residenziale, al minuto 89 Dino Zoff inchiodava sulla linea di porta un pericolosissimo colpo di testa di Eder negando al Brasile il gol del pareggio contro l’Italia di Enzo Bearzot, che da quel successo prese il volo verso il trionfo del Bernabeu contro la Germania Ovest. Quasi 31 anni dopo, allo stadio di Petach Tikva, Israele, il déjà-vu: al minuto 89, Francesco Bardi, portiere di proprietà dell’Inter e titolare della Nazionale Under 21, inchioda sulla linea di porta un colpo di testa ravvicinato dell’olandese Leroy Fer negando all’Olanda il pareggio che sarebbe potuto costare all’Italia di Devis Mangia una coda dei supplementari costosissima sul piano fisico e soprattutto nervoso, viste le storie tese già durante i 90 minuti.
E invece no, il ragazzo di Livorno ha blindato il risultato suggellato dal gol di Fabio Borini, il pirata di Bentivoglio, per l’esplosione di gioia finale. Dopo nove anni, gli azzurrini tornano a giocarsi il trono dell’Europa, da contendere alla potentissima Spagna di Lopetegui. E nel raggiungimento di questo traguardo importantissimo, Bardi ha giocato pienamente la sua parte. Sì, abbiamo speso spesso e volentieri parole di elogio nei suoi confronti, ma Steccio (lo chiamano così) più passa il tempo e più legittima i tanti elogi ricevuti: perché arrivare alla finale con un solo gol subito all’attivo, peraltro su rigore (e pure intercettato!) non è cosa da poco, anzi. Perché presentarsi alla platea europea con una parata magica al 90esimo su punizione nel match contro l’Inghilterra vale oltre il prezzo del biglietto. Perché l’Inter, che ne detiene il cartellino, vedendo quanto bene sta facendo Francesco in Israele sta davvero facendo delle riflessioni importanti: perché darlo in prestito? E se fosse da subito pronto? Davvero non può far vacillare uno come Walter Mazzarri, storicamente poco propenso ad affidarsi ai giovani? Le merita tutte queste riflessioni, Francesco, perché in casa l’Inter ha già un pezzo di futuro, poche storie…
Ma nella cavalcata dell’Under 21 i meriti non vanno ascritti tutti a Bardi, anzi: buona parte della forza della squadra di Mangia sta nell’intera retroguardia di ferro a disposizione, guarda caso tutta a tinte nerazzurre. A partire dal nome, volendo, un po’ a sorpresa proposto dall’Europeo, quello di Giulio Donati. Storia un po’ strana, la sua: arrivato alla manifestazione già grandicello (è del 1990), e dopo una stagione non proprio positiva col Grosseto, con la fiducia accordatagli da Mangia ha trovato improvvisamente una nuova dimensione e una nuova linfa. Ed eccolo lì, a correre, sfornare assist, ringhiare sul pericolo Ola John cancellandolo dal campo, incassare colpi come la gomitata vigliacca del tanto strombazzato quanto irritante Bruno Martins Indi, peraltro non sanzionata dal pessimo arbitro romeno Hatagan, prendere voti altissimi nelle pagelle, rappresentare a fine partita tutto l’animus pugnandi dell’Italia quando grida in diretta televisiva: “Noi non molliamo un c…”. In un certo senso, Donati rappresenta il simbolo ‘operaio’ di quest’Under 21, lui che fu benedetto da José Mourinho che lo definì “nato per giocare a calcio” ma che sin qui ha incontrato delle difficoltà nel mondo dei professionisti, alle quali comunque ha sempre preferito sopperire continuando a lavorare, fino ai risultati di questi giorni. La speranza è che questo Europeo maiuscolo possa servire al viareggino per lanciarsi definitivamente.
L’opera la completa il pacchetto di centrali, gli inamovibili Luca Caldirola e Matteo Bianchetti. Il primo è capitano dentro, inutile girarci intorno: lo era nella Primavera dell’Inter, lo è di questa giovane Italia. Uomo di lotta e di governo, un gladiatore che non lascia passare nemmeno una mosca nella propria area. Leader riconosciuto di questa formazione, il giovane brianzolo è il gladiatore al quale Mangia ha affidato le chiavi di tutto il gruppo. E Matteo Bianchetti ne rappresenta il complemento ideale: forse meno appariscente ma altrettanto solido lì dietro, riesce alla lunga a spuntarla al cospetto del colosso De Jong, che sulla carta primeggiava anche in termini di esperienza ma che alla fine ha avuto poche vere chances. Il ragazzo comasco si appresta a disputare il prossimo campionato di Serie A con la maglia del Verona, dove già ha giocato (poco) nella seconda parte di questa stagione, e per il quale Sean Sogliano, ds scaligero ha in mente un progetto importante. Citiamo anche Cristiano Biraghi, sempre pronto quando chiamato in causa ma che nelle ultime due partite ha lasciato il proprio spazio a Vasco Regini. E peccato perché in questa formazione molto probabilmente ci sarebbe stato spazio anche per Samuele Longo, purtroppo fermato da un infortunio.
Comunque sia, è indubbio che l’Inter non possa fare altro che fregarsi le mani per queste prestazioni. Intendiamoci: non è giusto mettere pressioni né alimentare illusioni magari pensando che questa difesa possa essere implementata da subito in blocco nell’Inter dei grandi. Tralasciando il discorso legato a Bardi, è giusto che l’Inter chieda a questi ragazzi di assaggiare gradualmente il livello più alto, un problema innato che non coinvolge solo il club nerazzurro ma più o meno tutto il sistema calcio italiano, sempre affrontato con fiumi di parole ma con pochi fatti concreti. E nel frattempo, i ragazzi devono concentrarsi solo ed esclusivamente sulla finale di martedì contro la corazzata iberica del funambolo Isco, del genietto Thiago Alcantara, del micidiale Alvaro Morata. Finale difficile ma non impossibile, per i nostri difensori, e oltretutto con uno stimolo in più: poter dimostrare di non essere poi tanto da meno dei vari Martin Montoya e Marc Bartra, malgrado questi possano vantare presenze e titoli nel Barça…
[Christian Liotta – Fonte: www.fcinternews.it]